Tentato omicidio, estorsione, incendio, rapina, violenza privata e lesioni personali aggravati dal metodo mafioso e dalla discriminazione razziale ai danni di extracomunitari. A dare una svolta alle indagini l'arresto di Emanuele Rubino, che ha sparato al gambiano Yusupha Susso lo scorso 4 aprile. Guarda il video
Ballarò, pizzo e violenza contro stranieri Dieci arresti dopo le denunce delle vittime
Quello che ha portato al ferimento di Yusupha Susso non è stato un caso isolato. Ci sarebbe stata infatti una vera e propria banda a seminare il terrore tra le vie di Ballarò con soprusi, minacce e aggressioni ai danni di commercianti e cittadini stranieri. L’operazione della sezione Omicidi della squadra mobile, diretta da Rodolfo Ruperti, che questa mattina ha portato al fermo di dieci persone nel rione del mercatino storico parte proprio dal tentato omicidio del giovane gambiano, lo scorso 4 aprile, per cui è finito in carcere Emanuele Rubino.
I reati contestati ai fermati vanno dalla rapina all’estorsione, al tentato omicidio, incendio, violenza privata e lesioni personali, aggravati dal metodo mafioso – i fermati sarebbero vicini alle famiglie mafiose della zona – e della discriminazione razziale. Vittime preferite della banda erano i commercianti cingalesi, ripetutamente vessati, che non sono tuttavia rimasti a guardare, fornendo un aiuto sostanziale alle indagini.
E proprio la ribellione ai soprusi subiti era costata un proiettile in testa, sparato in pieno giorno e in una zona molto trafficata, come se niente fosse, a Yusupha Susso. Un evento tragico, che tuttavia è servito a molte delle vittime per trovare il coraggio di opporsi al sistema di violenze a cui sarebbero stati soggetti. L’operazione, denominata Maqueda, ha visto coinvolti oltre cento agenti di polizia, che hanno battuto il difficile territorio di Ballarò, tra vicoli e stradine per eseguire i fermi dei presunti componenti della banda, tutti di età giovanissima.
«Se vuoi aprire il negozio, senza avere problemi, devi pagare». Era una delle prime richieste a cui si trovavano a dovere fare fronte i tanti titolari stranieri delle attività in continua fioritura nel rione del centro storico. E proprio sulla paura si sarebbe fondata l’attività del presunto gruppo criminale, che non si sottraeva a pestaggi e minacce con l’uso anche di armi. Dai racconti delle vittime emerge chiaramente la paura che le portava a radicali cambiamenti nelle proprie abitudini quotidiane per evitare di incontrare i giovani della banda.