Il blitz di oggi ha inflitto un ulteriore duro colpo alla criminalità organizzata made in Nigeria. Quella che nel quartiere simbolo d’integrazione trova anche la sua base operativa. Tra chi si affretta a proclamare «l’emergenza sociale» e chi dietro ai reati non vede colori né bandiere
Ballarò, dove tutti gli stranieri sono mafiosi. Ma è così? «Se sbaglia un migrante la responsabilità è collettiva?»
C’è stato un tempo in cui se eri palermitano allora eri mafioso. Un’etichetta che scattava in automatico, che ti si appiccicava addosso senza troppi complimenti e che è sparita dopo anni di battaglie per affrancarci da un ignobile quanto ignorante pregiudizio. Pare sia in virtù dello stesso meccanismo che oggi, sempre a Palermo, se sei un migrante allora sei un mafioso. O meglio, se sei un nigeriano. Perché è da lì, dalla Nigeria, che sono nati i cult che oggi blitz dopo blitz si cerca di azzerare. Gruppi mafiosi in tutti i sensi, sorti in ambito universitario e che hanno poi attecchito in maniera endemica in mezza Europa. Fino a Palermo. Anzi, fino al suo cuore per definizione, Ballarò. Sarebbe questo il quartiere prediletto, la «base operativa», per dirla con gli inquirenti, dove gestire il traffico di droga e la tratta delle prostitute, fra minacce, intimidazioni e un uso spregiudicato della violenza. Lì, nella stessa Ballarò che è oggi innegabilmente anche il contrario. Non una terra di nessuno, ma un luogo in cui mettere radici e fare delle culture diverse il collante perfetto per rifarsi una vita alla luce del sole e nella piena legalità.
L’operazione di oggi, la terza messa a segno nel giro di poco tempo, segna un’altra vittoria di cui, però, non tutti sanno gioire. Non nello stesso modo, quanto meno. «A Palermo è emergenza sociale», dice in toni allarmistici il capogruppo della Lega in consiglio comunale Igor Gelarda. «C’è un problema di tipo sociale a Ballarò – precisa –, legato anche a questa immigrazione indiscriminata e al fatto che buona parte degli immigrati non riescono a integrarsi. Alcuni delinquono già nei loro paesi e vengono ad esercitare in Sicilia le loro attività criminali, dove trovano purtroppo terreno fertile. Altri sono vittime dell’assoluta mancanza di mezzi di sostentamento e di un’integrazione sociale ed economica inesistente. La verità è che il modello dell’integrazione di cui farnetica Orlando è completamente fallito. A Ballarò come in altre zone di Palermo c’è una vera e propria emergenza sociale, aggravata dalla massiccia presenza di immigrati». Tanti immigrati quindi tanta mafia? O, semplicemente, immigrato quindi criminale.
«Noi lo sappiamo cosa vuol dire», osserva il consigliere di Sinistra comune Fausto Melluso. Sì, noi palermitani in effetti il peso di un pregiudizio simile lo conosciamo molto bene, ne portiamo ancora addosso i segni. Eppure, non siamo certo tutti mafiosi. Questo è un ragionamento che può valere anche per i migranti, specie per quelli che a Ballarò riescono a ricominciare? «È stupido pensare che non vogliamo si contrasti la criminalità nigeriana, è ovvio che va contrastata. Lavoriamo e collaboriamo con tante organizzazioni e realtà che contrastano la tratta e che aiutano le donne a venir fuori da questo sistema – spiega Melluso, che nel quartiere da anni è attivo anche all’interno dell’Arci Porco Rosso -. Il tema che esce fuori da certi commenti, però, è che quando sbaglia un italiano la responsabilità è personale, quando sbaglia un migrante no. “Vedete questi migranti?”, dicono subito. Questo è il segno dei tempi».
I siciliani per primi, emigrando, hanno portato di tutto con sé. Criminalità compresa, in alcuni casi. Basti pensare a Cosa nostra trapiantata negli Stati Uniti. Eppure nono c’è stato solo quello, per fortuna. «Le persone che arrivano sono perbene, per male, grandi cuochi, santi, navigatori, sono obiettivamente persone – torna a dire Melluso –. Tutta quella politica che ne favorisce l’emarginazione sociale e che rende più difficile il loro inserimento lavorativo, che rende più difficile una vita onesta e alla luce del sole al contrario favorisce l’inserimento all’interno di reti criminali. E questo è vero per chiunque, compresi quegli italiani socialmente emarginati. Questo è tutt’altro che giustificare, significare ribadire piuttosto che si deve reprimere il fenomeno tentando anche di capirne le cause, in qualche modo». Se no non è che intolleranza, quella che «se si tratta di altri la colpa di uno è la colpa di tutti, mentre se capita a un tuo simile tu lo devi comprendere. L’elemento repressivo è importante, che sia criminalità nostrana o importata, ma l’elemento di carattere educativo lo è altrettanto, dando diritti alle persone».
Criminalità senza colore, senza bandiere. Lo è e basta, e va contrastata in quanto tale. «Anche questa volta i paladini dell’accoglienza rimarranno in silenzio?», commenta provocatoria la presidente di Fratelli d’Italia Giorgia Meloni. Sembra di no, a dire il vero. Perché non esiste il sillogismo per cui se sei a favore di accoglienza e integrazione allora appoggi la criminalità organizzata straniera. «La mafia nigeriana si contrasta allo stesso modo di come si contrasta la mafia italiana – replica Melluso -, investendo sull’istruzione, sull’inclusione sociale. Non è che sono cose che diverse, sono cose simili. Più togli diritti, marginalizzi, dici alle persone che non possono avere una vita alla luce del sole, un contratto di lavoro, una prospettiva di vita tranquilla, perché ormai è complicatissimo aver un permesso di soggiorno, più tutto questo favorisce il fatto che le persone finiscano, anche loro malgrado, dentro reti criminali». Non è un caso che ormai da tempo siano gli stessi membri della comunità nigeriana ad aver pubblicamente preso le distanze da quei connazionali mafiosi. Un modo per dire in maniera più perentoria che “Ballarò terra di mafia straniera” e “nigeriani tutti mafiosi” sono generalizzazioni di cui possiamo fare tutti a meno.