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Foto della pagina Facebook Roberto Calderoli
Approvata l’autonomia differenziata. Cantone (M5S): «Ora vuota, poi dannosa». Carrà (Lega): «C’è solo da guadagnarci»
Da una parte si sostiene che «l’aumento dei divari potrebbe essere disastroso», dall’altra che «in termini di servizi c’è solo da guadagnarci». La prima voce è quella di Luciano Cantone, deputato siciliano del Movimento 5 stelle, la seconda quella di Anastasio Carrà, deputato leghista ed ex sindaco di Motta Sant’Anastasia, nel Catanese. Ieri mattina la Camera dei deputati ha approvato in maniera definitiva il disegno di legge sull’autonomia differenziata. Dopo il voto favorevole del Senato della Repubblica – che il 23 gennaio scorso ha approvato il ddl in prima lettura – il 19 giugno anche la Camera si è espressa sul progetto di riforma, che ora è legge: 172 i voti favorevoli, 99 quelli contrari, un astenuto. Quella sull’autonomia differenziata è una storica battaglia della Lega Nord – e poi della Lega per Salvini premier – e punta a dare alle Regioni più autonomia nella gestione di 23 materie specifiche: tra queste istruzione, ambiente, energia, tutela della salute, sport, trasporti, cultura, commercio estero.
«L’autonomia differenziata nasce dalla riforma del Titolo V della Costituzione, approvato nel 2001», dice a MeridioNews Cantone. «Da quando, nel 1994, la Lega ha iniziato a parlarne – continua il deputato catanese – sono cambiate le dinamiche economiche, è cambiata l’Italia ed è cambiata l’Europa. Per esempio – dice l’esponente del M5s – parlare nel 2024 di totale autonomia sui piani energetici, in un contesto in cui invece servirebbe un’Europa molto più forte, è un controsenso. Al di là dei Lep». Cantone allude ai Livelli essenziali di prestazione, cioè i criteri che definiscono il livello di servizio minimo da garantire in modo uniforme in tutto il Paese. È fondamentale sapere, infatti, che pur essendo stata approvata in via definitiva, la legge sull’autonomia differenziata non può essere subito operativa: prima di trasferire alcune competenze alle Regioni serve, appunto, determinare i Lep.
Questo passaggio è stato inserito con un emendamento di Fratelli d’Italia all’articolo 4 del disegno di legge, il cui testo originale è stato firmato dal ministro degli Affari regionali, Roberto Calderoli (Lega). Per definire i Lep serve individuare costi e fabbisogni delle singole Regioni, partendo dalla spesa storica che lo Stato ha affrontato in ogni Regione negli ultimi tre anni. Senza la definizione dei Livelli essenziali di prestazione la legge sull’autonomia differenziata non può essere attuata. Secondo l’esponente siciliano del M5s, il centrodestra «ha fatto una riforma senza definire i Lep e senza definire costi e risorse: è come se avesse detto “buttiamo la palla avanti, poi vediamo”. Per ora è una riforma vuota, senza numeri, che poi diventerebbe dannosa». L’emendamento di Fratelli d’Italia – partito alleato della Lega, ma che ha mostrato qualche dubbio su questa riforma, visto il suo approccio più centralista – prevede infatti anche un’altra cosa: il trasferimento delle funzioni alle Regioni sarà concesso nei limiti delle risorse disponibili nella legge di bilancio.
«Avrebbero dovuto procedere al contrario – continua Cantone – Così, invece, non sappiamo quanto costa allo Stato. Scritta in questo modo, la riforma non ha un grande senso, non serve a nessuno». Per il deputato siciliano «l’aumento dei divari tra le Regioni potrebbe essere disastroso: immaginiamo cosa vuol dire avere 20 contratti diversi per il settore della scuola». In modo opposto la pensa Carrà, secondo il quale «con l’autonomia differenziata c’è solo da guadagnarci in termini di servizi». Per l’esponente leghista «la Sicilia sarà meno toccata» dall’autonomia differenziata, «perché noi siamo a statuto speciale». È importante ricordare che questa riforma riguarda le Regioni a statuto ordinario, quindi non Friuli Venezia Giulia, Sardegna, Sicilia, Trentino-Alto Adige, Valle d’Aosta. Ma «a prescindere da questo – continua Carrà – l’autonomia differenziata serve da incentivo sulla parte burocratica e serve a impegnare la politica e i dirigenti».
In Parlamento le opposizioni dicono da mesi che l’autonomia differenziata disgregherebbe il Paese e che c’è il rischio concreto di aumentare il divario economico e sociale tra le Regioni del Nord e quelle del Sud. «Secondo me – dice l’ex sindaco di Motta Sant’Anastasia al nostro giornale – non c’è divisione o altro. Come dice l’articolo 5 della Costituzione, la Repubblica è unica, indivisibile e può promuovere autonomie. Le opposizioni dicono cose insignificanti». Eppure nel centrodestra c’è qualche voce dissonante; su tutte quella del presidente della Calabria Roberto Occhiuto (Forza Italia). «Temo che il centrodestra nazionale abbia commesso un errore, del quale presto si renderà conto», ha detto Occhiuto. E ieri tre deputati calabresi di Forza Italia hanno votato contro il disegno di legge. Anche Vito Bardi – presidente della Basilicata e anche lui esponente di Forza Italia – nei mesi scorsi ha criticato la riforma che, secondo lui, sarebbe stata approvata a tappe forzate, senza ascoltare proposte di miglioramento.
Invece secondo Annalisa Tardino – eurodeputata uscente ed ex commissaria della Lega in Sicilia – questa riforma «non è solo il riconoscimento del valore delle singole Regioni nella nostra nazione, ma consentirà al Paese di modernizzarsi, avvicinando realmente i servizi ai cittadini». Come detto, però, prima di entrare in vigore, la legge ha bisogno che siano definiti i Livelli essenziali di prestazione. Da ieri il governo ha al massimo 24 mesi per definirli, per cui la deadline è giugno 2026. Una volta definiti i Lep, Stato e Regioni avranno cinque mesi per arrivare a un accordo. Gli accordi tra lo Stato e le singole Regioni possono anche durare dieci anni ed eventualmente essere rinnovate, per terminare prima, invece, dovrà esserci un preavviso di 12 mesi.