Nicole Kidman e Hugh Jackman nellultimo film di Baz Lurhmann. Quando lidentità non nasce dalluguaglianza ma dalla diversità di tante culture diverse: dallaristocratica inglese, al mandriano locale, fino al bambino aborigeno
Australia
Australia è un kolossal. E come tale va giudicato.
Per più di due ore e mezzo lo spettatore deve accettare di essere bombardato da Hollywood in tutta la sua grandezza: budget, grandi attori, scenografia, effetti speciali, colonna sonora, costumi e chi più ne ha più ne metta. E allora è pronto a partire per lAustralia così com era pronto a salire sul Titanic.
E se lo spettatore accetta di andare a vedere un kolossal (a meno che non sbagli sala) sa già che come ogni kolossal che si rispetti ci sono dei cliché: cè la storia damore (le cui battute sono ovviamente prevedibili), cè il contesto storico (bombe ed effetti speciali), ci sono i grandi paesaggi e le grandi ambientazioni.
Cè un melange insomma: amore e avventura, sentimento e suspence moltiplicati per 147 milioni di dollari. A tale cifra, appunto, ammonta il budget di Australia.
E se non vi piacciono i kolossal, o comunque se non andate al cinema con lo spirito di chi è pronto a vedere un kolossal, rimanete pure a casa.
Baz Lurhmann (Romeo + Giulietta, Moulin Rouge!) vuole raccontare la storia didentità di un continente. Non è impresa da poco. Ma cè riuscito?
Storia identità continente.
Se vogliamo dare questo taglio ad Australia dobbiamo ricordare velocemente i cliché (Nicole Kidman, perfetta English lady in corsetto e ombrellino, che atterra nella selvaggia Australia popolata da buoni e civili aborigeni e sporchi mandriani bianchi, belli come Hugh Jackman, che ubriachi fanno a cazzotti nellunica osteria del villaggio e state pur certi che Hugh Jackman li stenderà a terra tutti!), metterli da parte e accettare che ogni storia di identità è una storia di violenza. O meglio di abnegazione.
E Australia, essendo una storia di identità, è automaticamente una storia di violenza con particolare riferimento alle generazioni perdute: quei bambini nati dallo stupro di una donna nera, rinnegati ovviamente – dai loro padri, presi e portati in istituti ecclesiastici per allontanare il nero che cè dentro e a cui sono state fatte pubbliche scuse solo nel 2008.
Lidentità allora assume varie forme: non è lidentità del continente inteso solo e soltanto come Australia, ma è lidentità di chi vive in questo continente: è lidentità del bambino mulatto (né nero, né bianco), è lidentità intesa come senso di responsabilità verso laltro, come nuova vita lontano dai salotti di Londra o come nuovo ruolo sociale allinterno di una famiglia aggregata (lei londinese, lui mandriano, il bimbo che non è figlio di nessuno di loro).
Unidentità insomma in cui difficilmente possiamo riconoscere il popolo australiano o la storia del popolo australiano. Né tantomeno possiamo riconoscere lidentità come uguaglianza. Non almeno in questo caso.
Semmai dobbiamo rovesciare questo concetto e accettare che lidentità è negazione, è violenza, è scelta. E ogni personaggio è negato (non più mandriano, non più lady, non più orfano), ha subito violenza o è emarginato, ha scelto di vivere in Australia o comunque in quella famiglia aggregata pur potendo scegliere altro o rimanere altrove.
Lidentità insomma come insieme di provenienze diverse: dallinglese, allaborigeno, al mandriano locale.
Quello che ci propone Lurhmann è un ragionamento assai sottile, che rischia di annegare nel marasma del kolossal, ma che è ben visibile nel film specie nella seconda parte, una volta messe da parte le mandrie e le cavalcate ai limiti del precipizio. Quando il film ricomincia e assume un altro volto.
Cè un po di tutto in quelle due ore e mezzo: avventura, amore, guerra, vendetta. Tutti gli ingredienti che dovevano esserci.
Ma cè anche qualcosa in più: lamore materno e quello paterno. Ed è proprio questa la parte più interessante, quella non prevedibile, non scontata e che riesce a coinvolgere lo spettatore anche se né Nicole Kidman, né Hugh Jackman sono al massimo del loro splendore.
Insomma Australia non annoierà, non deluderà con la sconfinatezza delle sue praterie, farà persino sorridere e forse a tratti riuscirà a strapparvi un brivido.
E riuscito Baz Lurhmann a raccontare la storia didentità di un continente? Sì, cè riuscito con un kolossal che ha tutti i limiti del kolossal.