Non vi stupite se Ignazio La Russa se ne va dove minchia se ne va al posto di celebrare la Liberazione dell’Italia dal nazistocazzofascismo. È siciliano, e in Sicilia la celebrazione della Liberazione è da sempre una gita fuori porta con una immensa, delirante, surreale, pantagruelica salsicciata (forse per dimenticare come gli impavidi cameraten, alla vista degli alleati, gettarono le armi, si spogliarono delle divise e corsero per i campi con la salsiccia di fuori). Volete un esempio? L’armistizio di Cassibile, senza dubbio uno dei momenti storici più importanti che portarono alla Liberazione. Bene. Ci siamo dimenticati dove l’hanno firmato. In altri e più civili paesi ci avrebbero fatto un museo. Noi ci siamo persi il posto. Si sa che fu firmato da quelle parti, ma il luogo esatto, tra una cosa e l’altra, non sappiamo più dov’è.
La storia è questa: l’armistizio fu firmato in una tenda, dalla quale partivano telegrammi, cablogrammi, radiogrammi, messi, portalettere e tutto l’ambaradan verso il coraggiosissimen generale Badoglien che si faceva negare (è in bagno, il generalen è in riunionen, sta asciugando il gatten), che, dopo essersi messo d’accordo con gli alleati, rifiutava di firmare la delega a Castellano per firmare l’armistizio terrorizzato da una rappresaglia nazista (quando i nazisti se la prendevano con gli ebrei, però, Badoglio non si spaventava mica). E insomma alla fine la firma arriva (anche perché gli alleati, a quel punto, erano pronti a radere al suolo Roma), e, dentro una tenda, l’armistizio fu firmato. Smontata che fu la tenda posero una pietra (detta anche cippo) a memoria futura.
La storia del cippo è ancora più surreale delle salsicciate che i siciliani si faranno oggi. Fu rubata da Enrico de Boccard, giornalista repubblichino la cui biografia sembra scritta da un Nino Frassica in gran forma: scrisse Donne e mitra, fece la comparsa in un film diretto, tra gli altri, da Indro Montanelli, nel 1961 fu in gara con la canzone Il palloncino rosso al concorso canoro Una canzone per l’Europa presentato da Nunzio Filogamo, poi invecchiò maluccio e scrisse per Playmen mentre al contempo dirigeva una collana di libri erotici (ci sarebbe da scrivere un saggio: fascismo e pippe). Ma insomma, come fu e come non fu, dopo che l’erotomane pipparolo rubò il cippo, dicendo di averlo fatto perché rappresentava un «disonore» per l’Italia (e invece, le leggi razziali furono un onore?), i siciliani non riuscirono più a identificare il luogo della firma dell’armistizio.
E così, oggi, invece di celebrare la fine di un incubo, i siciliani esploderanno in una cornucopia di colesterolo e trigliceridi innaffiati da ettolitri di vino in bidoncino repellente (dite quello che volete ma il vino siciliano fa schifo, è grossier), che deturpa i volti già deturpati dall’ignoranza in risa bestiali che mostrano quintalate di tartaro e di denti marci. La Russa, andandosene dove minchia se ne va, non fa altro che perpetuare questa tradizione siciliana della gita fuori porta. E se abbracciandolo noterete qualcosa di strano, no, non è perché è contento di vedervi, sarà molto probabilmente un nodo di salsiccia proveniente dalla sua Ragalna. Perché, per La Russa, la Liberazione è una bella salsicciona.
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