Il piano energetico regionale è stato approvato a febbraio dal governo Musumeci, ma non include le prescrizioni che l'anno scorso erano state date dalla Cts e condivise con un decreto dell'assessore Toto Cordaro. M5s all'attacco: «Per l'eolico fatte scelte differenti»
Fotovoltaico, Regione non mappa aree non idonee Trizzino: «Così si rallenta la valutazione dei progetti»
Il Territorio chiama, l’Energia non risponde. Scorrendo le centinaia di pagine del Piano energetico regionale, approvato a febbraio dal governo Musumeci, ci si imbatte in quello che potrebbe essere definito un cortocircuito tra i due assessorati regionali. Un fatto fin qui passato inosservato, ma i cui effetti potrebbero manifestarsi presto. A colpire, infatti, è la decisione del dipartimento all’Energia, che fa capo all’assessorato guidato da Daniela Baglieri, di non introdurre in materia di fotovoltaico «vincoli più restrittivi in termini di localizzazione, rispetto a quelli imposti dai piani di tutela e gestione vigenti sul territorio siciliano». La necessità di definire nel dettaglio le aree non idonee era stata fatta presente, l’anno scorso, dalla commissione tecnico-specialistica in occasione della valutazione ambientale strategica (Vas) del piano. Prescrizioni che, a fine agosto, erano state condivise dall’assessore al Territorio Toto Cordaro che, annunciando la firma del decreto della Vas, aveva inviato il piano al dipartimento Energia per le integrazioni richieste così da consentire l’approvazione del documento da parte della giunta. Tuttavia, la versione finita sul tavolo del governo non include la definizione delle zone non idonee.
Il tema della localizzazione degli impianti è al centro dell’attenzione da quando alla Regione sono iniziati a piovere progetti, spesso di grandi dimensioni e riguardanti terreni agricoli. Molti hanno messo in guardia dai pericoli connessi a una corsa al fotovoltaico senza particolari vincoli: dal rischio desertificazione alle possibili speculazioni sfruttando la crisi dell’agricoltura, i pannelli solari, da sempre simbolo della green economy, sono diventati uno spauracchio. Tali riflessioni oggi, con la possibile stretta sull’approvvigionamento di gas dalla Russia, si arricchiscono di significato considerando il bisogno unanimamente riconosciuto di puntare sulle rinnovabili per allentare la dipendenza energetica dall’estero. A commentare la decisione della Regione di non dotarsi della mappatura delle aree non idonee è, tra gli altri, il deputato del Movimento 5 stelle Giampietro Trizzino. «In più di un occasione, anche con atti parlamentari e interventi in Aula – dichiara il parlamentare cinquestelle a MeridioNews – ho chiesto particolare attenzione alla individuazione puntuale delle aree non idonee alla installazione di impianti da fonti rinnovabili e non perché il gruppo al quale appartengo sia contrario alle fonti di approvvigionamento sostenibili, ma al contrario perché una maggiore chiarezza aiuta sia le imprese che le autorità regionali che devono condurre le delicate analisi sulla compatibilità ambientale».
Nel piano energetico viene specificato che le problematiche inerenti la localizzazione degli impianti verranno affrontate da un apposito gruppo di lavoro composto da funzionari dei dipartimenti Agricoltura, Beni Culturali, Ambiente e Urbanistica. Nulla insomma di ravvisabile all’orizzonte. Nell’attesa, quasi tutte le prescrizioni sul tema date dalla Cts presieduta da Aurelio Angelini sembrano essere state disattese. Gli esempi che si possono fare sono diversi: per quanto riguarda la richiesta di tutelare i siti Unesco, come le Eolie, il dipartimento all’Energia, pur sottolineando che i progetti dovranno tenere conto del «valore paesaggistico, naturalistico e storico-architettonico» dei siti, citano il caso dell’isola di Salina, scelta come isola pilota dell’iniziativa Clean Energy for Eu Islands che prevede un percorso di decarbonizzazione progressiva, con traguardo al 2050, basato proprio sulle rinnovabili.
Nel caso dei siti collinari e montani di interesse turistico, dei borghi e delle zone a ridosso dei parchi archeologici, ma anche delle aree importanti perché luogo di transito e riproduzione per specie protette e dei geositi, il dipartimento Energia ha deciso di rimandare ai contenuti singoli piani paesaggistici la valutazione circa la compatibilità o meno dei parchi fotovoltaici con i territori. In tema, invece, di aree protette, zone umide e siti della Rete Natura 2000, il piano energetico considera le stesse come aree non idonee ma lascia l’ultima parola ai piani di gestione. Tra le richieste della Cts c’era poi quella di escludere dalle zone in cui è possibile installare pannelli i terreni agricoli che ospitano produzioni biologiche e a marchi Dop, Igp, Doc, Docg e Stg. Sul punto il dipartimento all’Energia ha specificato che il piano esclude la possibilità di attivare finanziamenti in queste aree; ma ciò tuttavia rischia di rivelarsi un deterrente molto debole se si considera che, finora, la stragrande maggioranza dei progetti privati riguardanti il fotovoltaico presentati alla Regione non poggia su finanziamenti pubblici.
Più in generale, alla luce della delibera approvata, il governo regionale pare avere deciso di non adottare una scelta che sarebbe stata innanzitutto di carattere politico, definendo in maniera chiara quali aree della Sicilia siano sacrificabili per la produzione di energia solare. Una decisione diversa era stata fatta anni fa in campo eolico, settore per il quale l’individuazione delle zone non idonee è stata fatta. «Nel 2015 con la legge 29 e con il successivo decreto attuativo sono state approvate delle misure per la localizzazione degli impianti da fonte rinnovabile con particolare riferimento all’eolico – ricorda Trizzino – che tengono conto delle aree sulle quali insistono criticità di tipo idrogeologico, quelle individuate come beni paesaggistici e quelle inserite nei siti che compongono la rete Natura 2000».
La rinuncia della Regione potrebbe comportare anche un rallentamento nelle attività della commissione tecnica-specialistica, la stessa che negli ultimi mesi è finita in mezzo a un fuoco trasversale che ha visto tra i protagonisti anche Confindustria. La mancanza di una mappatura delle aree, infatti, comporta la necessità per la Cts di chiedere decine di pareri agli enti territorialmente competenti, allungando di fatto l’iter autorizzatorio e di conseguenza la stessa realizzazione degli impianti.