A novembre Santo Cutrone aveva messo in guardia dai rischi insiti nel decreto Semplificazioni. Poi una nota di complimenti rivolta a Musumeci e Falcone sembrava aver ammorbidito la posizione. «Le cose che non vanno restano», dice intervistato da MeridioNews
Lavori pubblici, presidente di Ance Sicilia rilancia l’allarme «Sorteggi e aggiudicazioni sospette. Rischio Tangentopoli»
«Malgrado il vento contrario della burocrazia e una politica nazionale che tarda a porre il Sud al centro della propria agenda, in Sicilia la curva di caduta degli appalti si è finalmente interrotta». A pronunciare queste parole, il 28 dicembre, è stato Santo Cutrone, il presidente regionale dell’associazione dei costruttori edili (Ance). Una nota in cui non sono mancati i ringraziamenti al governo Musumeci, con in testa l’assessore Marco Falcone, per l’impegno profuso nella ripartenza dei cantieri nell’isola. I più attenti hanno notato un cambio di tono rispetto a un altro comunicato, diramato poco più di un mese prima dallo stesso Cutrone. In quella circostanza, senza troppi giri di parole, Cutrone aveva messo in guardia dal rischio di ripiombare nel passato. Quando gli appalti miliardari venivano spartiti fuori dalle sede di gara. In quel simbolico tavolino di cui parlò Angelo Siino, il ministro dei lavori pubblici di Cosa nostra, quando iniziò a collaborare con la magistratura. A sedere in circolo erano boss, imprenditori e politica. La quale, a sua volta, aveva la piena consapevolezza di come fosse necessario conquistarsi la disponibilità dei funzionari pubblici.
Presidente, confrontando le sue ultime dichiarazioni con quelle di novembre, si può dire dire che il suo umore sia migliorato. Cosa le ha fatto cambiare idea?
«Nulla, per il semplice fatto che le due note non si contraddicono. È un fatto che la crescita della spesa nei lavori pubblici c’è stata e che tante opere ferme sono ripartite, così come restano evidenti, non solo ai miei occhi, fatti quantomeno curiosi nella fase delle aggiudicazioni delle gare d’appalto».
Lei ha individuato nel decreto Semplificazioni un pericolo per la trasparenza e la regolarità delle procedure.
«Avere innalzato le soglie sotto le quali si può procedere con le procedure negoziate (a inviti, ndr) ha inevitabilmente ristretto la concorrenza, specialmente quando poi andando a guardare i verbali saltano agli occhi la presenza spesso degli stessi nomi. Ricevo tante segnalazioni da parte di imprenditori che restano esclusi: dai documenti che inviano si evince come ci siano gruppi di imprese che riescono, con una particolare frequenza, a essere selezionate. O per meglio dire sorteggiate».
Sospetta che vengano commesse delle irregolarità?
«Non rappresento un organo inquirente, né spetta a me fare investigazioni. Dico semplicemente che statisticamente è complicato vincere al bingo tante volte. Trattandosi di sorteggi dovrebbe trattarsi di semplice fortuna, ma siamo a livelli per cui, per questi imprenditori, potrebbe diventare direttamente più conveniente la strada del superenalotto. La realtà è che, come ho detto dal primo momento, la discrezionalità nell’invitare c’è e dove c’è discrezionalità iniziano a comparire situazioni anomale».
Lei come sta messo a fortuna?
«Guardi, io sono di Ragusa e posso dirle che nei Comuni dell’hinterland non sono mai stato invitato. Non ci vedo nulla di male, considerato il numero di imprese che ufficialmente ci sono nel mercato. La questione cambia quando si va a vedere chi è stato pescato. Le stranezze però non riguardano soltanto la fase di selezione, ma anche le aggiudicazioni».
Prego.
«Al momento sono in vigore due leggi che disciplinano i metodi con cui si stabilisce qual è l’offerta che si aggiudica l’appalto: una nazionale e una regionale (su cui si attende da oltre un anno il verdetto della Corte costituzionale, ndr). Il mercato ci dice che attualmente con la prima le aggiudicazioni avvengono intorno al 25 per cento, mentre con la seconda si scende tra il 18 e il 21. Bene, in queste gare con i sorteggi discutibili le gare vengono vinte anche con il 9 o 10 per cento. Un dato che fa pensare».
Tante vicende giudiziarie ci dicono che spesso dai ribassi fuori mercato si sono ricavate le somme per le tangenti.
«Come ho detto prima, non spetta a me fare indagini né fare accuse. Posso soltanto osservare quello che accade, e chi fa questo mestiere si accorge che qualcosa che non va c’è».
Parlando di discrezionalità, qual è la sua posizione sul criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa? C’è chi ritiene che allarga le maglie dei controlli e favorisce la corruzione.
«In un mondo ideale premiare il rapporto qualità-prezzo garantirebbe la vittoria sempre all’offerta migliore. Ma siamo lontani dall’ideale, e ogni passaggio in cui si dà la possibilità di valutazioni personali e punteggi espone la procedure a condizionamenti. Non dico che bisognerebbe eliminare questo criterio, ma utilizzarlo soltanto per opere che abbiano un know-how elevato, che non tutti possono avere. Ma se la gara riguarda l’asfaltatura di una strada ragionare di migliorie è insensato. E rischioso».
Anche in questo caso si basa sull’esperienza?
«Basta guardare gli elenchi degli aggiudicatari. Ci sono imprese che con l’offerta economicamente più vantaggiosa sbaragliano la concorrenza. Non resta che affermare che siano davvero molto brave».
Che ne pensa dei ruoli dei Consorzi?
«Che spesso sono scatole svuotate di mezzi, gruppi di professionisti capaci e bravi a intercettare bandi e offerte economicamente più vantaggiose. Per le imprese consorziate sono un’opportunità perché tramite essi riescono a partecipare a gare per cui altrimenti non avrebbero individualmente i requisiti. Certo, fa strano se una somma urgenza, che per sua natura ha bisogno di un intervento immediato e dunque un’impresa del territorio, finisce a un consorzio con sede magari al Nord».
Una sentenza del Tar ha ribadito la necessità di un’applicazione più rigorosa dell’articolo 80 del codice degli appalti. Quello che parla dei requisiti morali. Per lei un’impresa indagata per fatti gravi dovrebbe essere esclusa?
«Non è semplice dettare una linea netta e infatti spetta alle commissioni. Secondo me un’impresa che per la prima volta si trova indagata non dovrebbe essere esclusa dalla partecipazione fino a che non si farà luce sul caso. Il discorso cambia se si parla di un’impresa che magari nel suo passato ha avuto diversi coinvolgimenti in inchieste giudiziarie».
A novembre lei ha dichiarato che esiste il rischio di tornare a Tangentopoli. Io le chiedo: ci si è mai lasciati alle spalle quell’era?
«Sì, secondo me ci siamo spostati da Mani pulite, la preoccupazione è quella di ritrovarci. Mi creda, ci sono tantissime persone che non vorrebbero avere nulla a che vedere con quelle dinamiche. Però, specialmente quando c’è esigenza di lavorare, c’è chi di fronte a una tentazione riesce a resistere e chi invece cede».