La compravendita di voti del sindaco di Calatafimi «Sto pagando per questo e quello. Ieri mille euro»

«Ce li siamo comprati i voti, tutti comprati sono. Cinquanta euro ogni voto. C’erano 100mila euro messi a disposizione ma ne abbiamo spesi di meno perché, invece di duemila, sono stati 1900 e rotti. Sono rimasti un po’ di soldi». È il 29 aprile del 2019, il giorno dopo dell’elezione di Antonino Accardo a sindaco di Calatafimi Segesta, quando viene intercettata questa conversazione che è finita negli atti dell’inchiesta che ieri ha portato al fermo di 13 persone nel Trapanese per associazione mafiosa, estorsione, incendio, furto, favoreggiamento personale e corruzione elettorale, aggravati dal metodo mafioso. Tra gli indagati c’è anche il primo cittadino accusato di avere beneficiato dei voti controllati dalla cosca mafiosa guidata da Nicolò Pidone. 

Una compravendita che per il sindaco non sarebbe stata indolore. Due giorni dopo avere indossato la fascia tricolore, Accardo si fa i conti in tasca. «Sto pagando per questo e per quello, ieri ho dovuto pagare un’altra rata di mille euro – dice il primo cittadino in una telefonata intercettata l’1 marzo manifestando preoccupazione per le proprie difficoltà economiche dopo la campagna elettorale svolta – Tanto, ti sembra che tra quattro anni mi candido di nuovo? Difficile mi sembra». Pur lamentando l’eccessiva esposizione debitoria, Accardo, stando a quanto ricostruito anche dalle intercettazioni, non si sarebbe pentito delle scelte fatte. «Va beh, non è che siano tutti persi (i soldi, ndr). Se tu li aiuti poi magari ti danno una mano di aiuto». Quello ipotizzato dagli inquirenti è infatti una sorta di do ut des.

«Al Comune le cose si sono sistemate, almeno ora siamo più tranquilli. Con Nino ci si può parlare, è sempre a portata di mano». L’ex presidente del cda di Atm Trapani Salvatore Barone, nel giugno del 2019, parla con Giuseppe Gennaro (arrestato anche lui) e condivide l’apprezzamento per l’assetto politico determinato dalle elezioni di pochi mesi prima. In realtà, l’operato di Accardo non avrebbe rispettato a pieno le aspettative dell’associazione. Tanto che, quattro mesi dopo, durante una riunione nel casolare di Pidone, emergono i primi malcontenti rispetto a una non meglio precisata autorizzazione per la creazione di una discarica. «Avrebbe dovuto ringraziarci dicendo “mi hanno fatto eleggere con un bordello di voti” e, invece, fa tutto lo scimunito». È il capomafia a calmare gli animi: «C’è da bloccare tutte cose», dice senza fare mistero del fatto di essere rimasto offeso anche perché, qualche settimana prima, il sindaco incontrandolo per strada avrebbe fatto finta di non vederlo. «L’altra volta me lo sono preso di petto e l’ho mandato a fare in culo». 

Nell’aprile del 2020 sul cellulare del sindaco arriva una telefonata di un cittadino che vive in una casa popolare in grave condizione di indigenza economica. L’uomo chiede l’intervento di Accardo per i rumori molesti provenienti dalle abitazioni vicine. «Fanno bordello tutta la notte e nemmeno mi fanno dormire. Possibile mai? O siete solo buoni a bussare a quella cazzo di porta per un cazzo di voto?», lamenta il cittadino. Il sindaco lo redarguisce a «parlare pulito» e aggiunge che «a te non ti ha domandato niente nessuno». E, invece, il cittadino risponde che «sono venuti anche cristiani qua e mi hanno dato i soldi per fare salire a lei». Sentito a sommarie informazioni, l’uomo ha ammesso di avere accettato la promessa di ricevere 50 euro in cambio del voto. Dopo l’elezione di Accardo, «diversamente da come promesso, mi vennero consegnati 30 euro, cosa che mi infastidì tanto che chiesi spiegazioni. Mi risposero – racconta ancora l’uomo alle forze dell’ordine – che quella era la somma che gli era stata data dal sindaco». Il nome dell’imprenditore per cui aveva lavorato e che era andato a bussare alla sua porta il cittadino non vuole che venga messo a verbale perché «non mi voglio ritrovare una pallottola in testa». Stando a quanto emerso dall’inchiesta, due giorni dopo, il sindaco sarebbe stato informato di quelle dichiarazioni e a Calatafimi Segesta sarebbe cominciato un periodo di fibrillazione: per alcuni degli appartenenti all’associazione mafiosa il timore era che la polizia avesse ricostruito quanto accaduto durante la campagna elettorale

E non solo. Finite le questioni politiche, si passa ad altro. Accardo ha l’obiettivo di recuperare una somma di denaro. «Pertanto – si legge nelle carte dell’inchiesta – egli decideva di intraprendere l’unica strada da lui ritenuta possibile ed efficace per tutelare le proprie ragioni, ovverosia rivolgersi agli uomini d’onore». L’uomo a cui ha ceduto la società Regno delle due Sicilie – che si occupa di lavorazione, produzione e confezionamento di prodotti agricoli – deve ancora pagare una cifra di circa settemila euro. Risoluto nell’intento di recuperare i soldi, Accardo si serve di un intermediario per sollecitare Rosario Tommaso Leo a intervenire nei confronti del debitore usando non solo tecniche di persuasione. «Hai carta bianca», avrebbe suggerito il sindaco in modo esplicito e senza porre limiti ai metodi da mettere in pratica. 


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