Nell'inchiesta sulla famiglia di Barrafranca, guidata dall'ex politico democristiano, viene citato più volte Fabio Accardi. Il primo cittadino a MeridioNews esclude ogni comunicazione con il capomafia: «Sarò entrato nell'inquadratura senza volerlo»
Mafia, videochiamata tra Raffaele Bevilacqua e sindaco E figlio del boss chiese garanzie per manodopera locale
Una videochiamata – come ai tempi del coronavirus, ma prima del coronavirus – rischia di gettare un’ombra sull’attuale amministrazione comunale di Barrafranca e sul sindaco Fabio Accardi. C’è anche questo nelle migliaia di pagine di informative in mano alla Direzione distrettuale antimafia di Caltanissetta che, mercoledì, hanno portato al maxi-blitz contro la famiglia mafiosa guidata dal redivivo Raffaele Bevilacqua. Avvocato, politico e capomafia tornato in auge in un battibaleno, dopo essere riuscito, a maggio 2018, a lasciare il carcere dove aveva trascorso i 15 anni precedenti e dove sarebbe dovuto rimanere a vita. Per scontare l’ergastolo. Dalla cella, Bevilacqua passò a Catania. A casa della figlia Maria Concetta, che del papà, per gli inquirenti, avrebbe seguito le orme. Tanto negli studi giuridici quanto nel subire il fascino di Cosa nostra.
A ottobre scorso, Covid-19 era un’espressione sconosciuta in tutto il mondo. Il distanziamento sociale, invece, era un concetto chiaro. Perlomeno a Bevilacqua. Dai domiciliari, dove si trovava da cinque mesi in attesa di poter chiedere la proroga per motivi di salute, il capomafia non avrebbe potuto tenere contatti con nessuno, a eccezione dei conviventi. Così non è stato. Gli uomini del Ros di Caltanissetta hanno monitorato gli incontri a casa della figlia con uomini d’onore come Alessandro Salvaggio, a cui Bevilacqua avrebbe dato l’ordine di pianificare l’omicidio dell’ex sindaco di Barrafranca Totò Marchì. «Se ci fossi stato presente io, sindaco, lui, non ci sarebbe stato», assicura Bevilacqua, che a cavallo tra anni Ottanta e Novanta fu una delle figure più in vista della Democrazia Cristiana. Marchì, tuttavia, non è l’unico sindaco barrese citato nell’indagine. A trovare spazio, infatti, è anche l’attuale primo cittadino Fabio Accardi.
Eletto nel 2016 con il sostegno di Pd, Udc e Sicilia Futura, Accardi è stato raggiunto da un avviso di garanzia. L’accusa nei suoi confronti è di corruzione aggravata dall’avere favorito Cosa nostra, nella vicenda legata all’appalto settennale per la raccolta dei rifiuti. Affare su cui Bevilacqua aveva deciso di mettere le mani e che avrebbe avuto nell’affitto di un terreno della famiglia Salvaggio una forma di pizzo imposto alle ditte aggiudicatarie della gara. «Sono sereno, quella gara è stata gestita dall’Urega e non dal Comune – dichiara a MeridioNews Accardi – Attendo di conoscere meglio le accuse che mi sono rivolte, visto che finora ciò che ho saputo l’ho letto dai giornali».
Stando alle carte dell’inchiesta, però, a fine ottobre tra Accardi e Bevilacqua ci sarebbe stato un contatto. Il 26 ottobre è un sabato. Il primo cittadino si trova nel bar Roma. A pochi passi dalla chiesa di Santa Maria della Purificazione e del circolo operai. A gestirlo è Alberto Bevilacqua, uno dei figli del boss. Pure lui arrestato e – tanto per i magistrati quanto per la madre – desideroso di mostrare al padre di averne ereditato il talento. Dentro al bar Roma sarebbe avvenuta quella che il Ros definisce «l’importantissima videochiamata» tra Raffaele Bevilacqua e il sindaco. La comunicazione avrebbe avuto riferimenti all’estorsione che la famiglia mafiosa era intenzionata a fare alle tre imprese che avevano vinto l’appalto per i rifiuti.
«Di Raffaele Bevilacqua ho ricordi che risalgono al periodo in cui era un politico in vista qui a Barrafranca, ma finisce tutto lì – replica Accardi a MeridioNews -. Non ho mai avuto a che fare con la famiglia Bevilacqua, se non i rapporti che si possono avere con i propri concittadini in un piccolo paese. Al bar Roma è capitato di prendere il caffè, ma nulla più di questo». In merito alla videochiamata, il sindaco nega di avere dialogato con il boss mentre non esclude di potere essere finito per qualche frangente dentro l’inquadratura mentre il figlio di Bevilacqua parlava con il padre. «Non lo ricordo, ma se è riportato così vuol dire che è successo. In ogni caso, ribadisco che non c’è stata nessuna comunicazione tra me e Bevilacqua».
Accardi, che di mestiere è docente, afferma di essere rimasto stupito dell’uscita dal carcere del boss, ma ancora di più dell’autorizzazione che gli fu data per partecipare al matrimonio di uno dei figli. «Quello fu un evento strano, sottoposi il tema anche ai carabinieri», ricorda il primo cittadino. Nelle carte dell’inchiesta, tuttavia, Accardi viene più volte citato dagli indagati. Specialmente da Alberto, il titolare del bar. «Quelli di ora erano rimasti, due mesi fa, con il sindaco che ci si doveva prendere a tre. Al sindaco questo gli avevo detto», racconta il giovane Bevilacqua al padre. Il ragazzo parla della decisione da parte di una ditta che stava svolgendo lavori a Barrafranca di non assumere operai del posto. Nonostante i patti sarebbero stati diversi. «Gli ha dato i nomi e tutte cose, le hanno scritte e gli hanno detto sì. Sono venuti, si sono portati tutti gli operai paesani suoi», aggiunge, facendo riferimento alla presunta incapacità di Accardi di riuscire a garantire la manodopera locale. «Emergeva chiaramente – scrivono i militari del Ros – che Alberto stava effettuando una sorta di controllo delle imprese operanti nel territorio in cui la famiglia mafiosa esercita la propria influenza, nonché il fatto che lo stesso aveva richiesto e ottenuto l’interessamento del primo cittadino barrese».