Un filone dell'indagine della Dda di Palermo sugli affari di Arata e Nicastri punta sugli uffici guidati da Toto Cordaro, e in particolare sulla commissione chiamata a valutare la Via. Una storia che chiama in causa anche Calogero Mannino e Saverio Romano
Arata, l’assessorato al Territorio travolto dall’inchiesta «Cordaro la prima volta era un muro, ora non lo è più»
Ci sarebbe un prima e un dopo nell’atteggiamento dell’assessore al Territorio Toto Cordaro e di alcuni suoi funzionari rispetto a Paolo Arata (consulente della Lega per l’energia in affari con Vito Nicastri, accusato di concorso esterno alla mafia) e ai suoi progetti sul bio metano. Secondo la Direzione distrettuale di Palermo, c’è un prima fatto di chiusura totale: «Avrei voluto un rapporto personale con lei. Invece è l’unico assessore in Italia con cui non riesco a comunicare e che non mi risponde», scriveva il faccendiere in un sms all’assessore. E c’è un dopo, per gli inquirenti arrivato a seguito dell’intercessione dei due big centristi Calogero Mannino e Saverio Romano, contrassegnato invece da un’attiva disponibilità. «Ho trovato la chiave giusta – dice Arata il 22 gennaio 2019 mentra parla col figlio di Nicastri – la prima volta che ci siamo andati Cordaro era un muro, adesso non è più un muro, mi risponde al cellulare».
Nell’inchiesta che scuote il governo regionale, un filone riguarda i tentativi di Arata per evitare di sottoporre gli impianti Solgesta a Valutazione di impatto ambientale. A giugno 2018 Arata, che fino a quel momento ha puntato tutto sull’assessorato all’Energia guidato da Alberto Pierobon, capisce che è più urgente concentrare i suoi sforzi su un altro palazzo regionale: quello da cui dipende appunto la Via. L’obiettivo è fare di tutto affinché il suo progetto di bio metano a Francofonte, nel Siracusano, venga dichiarato non assoggettabile a quella temuta autorizzazione. Per farlo bisogna puntare sulla commissione chiamata a dare la valutazione, nominata dall’assessore Cordaro.
Ma i primi tentativi per avvicinare l’esponente della giunta Musumeci e i dirigenti a lui vicini, tra cui Mario Parlavecchio (non indagato), vanno a vuoto. Anche perché i canali fin lì usati – Gianfranco Miccichè e Pierobon – risultano sbagliati, in quanto appartenenti a pezzi di centrodestra diversi. A spiegare ad Arata che servono piuttosto «personaggi politici della stessa corrente» di Cordaro è Giacomo Causarano, il dirigente del dipartimento Energia arrestato per corruzione. «Parlavecchio ha litigato a morte con Miccichè. Quindi chiunque altro faccia il nome di Miccichè, secondo me lui ci mette una pietra».
Arata fa tesoro dei suggerimenti di «Giacomino» e, stando a quanto ricostruito dagli investigatori, punta su Calogero Mannino che su Cordaro avrebbe un forte ascendente politico. Il consulente della Lega e il figlio incontrano l’ex ministro Dc nella sua casa palermitana il 19 ottobre 2018. «Ecco, se può farci una segnalazione a questo assessore Cordaro», va al sodo Arata senior. «Ti ho detto che l’ho fatto, Paolo, credo che l’avessi capito, lo faccio», replica Mannino. Il giorno dopo gli Arata vengono ricevuti in assessorato da Cordaro che mostra una nuova disponibilità, annotando le richieste degli imprenditori e fornendo loro il suo numero di cellulare. «Tra l’altro anche l’onorevole Mannino…», dice l’assessore. Da quel momento in poi, secondo la Procura, Cordaro affida la pratica Solgesta al suo più fidato collaboratore: il capo di gabinetto Vincenzo Palizzolo, indagato e dimessosi pochi giorni fa. Su questa vicenda lo stesso assessore, nei giorni scorsi, ha risposto in commissione regionale Antimafia.
L’avvicinamento ai componenti della commissione Via, a cominciare dal presidente Alberto Fonte (indagato così come l’altro componente Salvatore Pampalone, l’ingegnere responsabile della pratica Solgesta), sembra andare a buon fine. Fonte incontra prima Palizzolo e poi lo stesso Paolo Arata, ma gli fa presente che così com’è, con quelle cento tonnellate al giorno di rifiuti indicate, il progetto deve per forza passare dalla Via. Servono modifiche e potrebbero non bastare. «Confido in un tuo autorevole intervento – è l’sos che Arata lancia a Cordaro in un sms dopo aver ricevuto la notizia – il capo di gabinetto, che ringrazio per la sua disponibilità, ha ben chiara la questione e ci è parso favorevole alla nostra interpretazione».
Alla fine, nonostante le pressioni, Fonte dà torto agli Arata e respinge la richiesta di non assoggettabilità. Ma da quel momento in poi – ricostruiscono gli inquirenti – il presidente della commissione si sarebbe messo a disposizione degli imprenditori per rivedere il provvedimento. «Un attivismo in violazione dei principi di diligenza, lealtà, imparzialità e buona condotta che dovrebbero qualificare la condotta del pubblico ufficiale nell’adempimento dei propri doveri d’ufficio», scrivono i magistrati, secondo cui un ruolo avrebbe giocato pure Saverio Romano.
Arata incontra l’ex ministro il 28 marzo 2019 per chiedere un’intercessione, cioè il giorno prima di consegnare a Fonte una bozza dell’istanza di revisione. Così il presidente della commissione, che aveva qualche settimana prima bocciato il progetto, si sarebbe impegnato a suggerire le correzioni necessarie affinché la sua precedente bocciatura venisse superata. Obiettivo che l’8 aprile – giorno dell’ultimo incontro annotato dalla Dia di Palermo tra Arata e i tecnici della commissione Via – sembra quasi raggiunto. Tanto che un raggiante Paolo Arata, uscendo dalla riunione, chiama la segreteria di Saverio Romano, in piena campagna elettorale per le Europee, per ringraziarlo. «Volevo sapere se l’onorevole organizza cene elettorali a cui parteciperei come sostenitore, a qualche cena elettorale di sostegno, diciamo… economico, quelle lì a pagamento, io sono ben disponibile a partecipare». Dieci giorni dopo a spegnere l’entusiasmo arriverà, come una valanga, l’operazione dell’Antimafia di Palermo.