Si ferma, forse definitivamente, un progetto ambizioso: un investimento da 25 milioni per estrarre calcare e trasformarlo in prodotti industriali nel cuore della Sicilia. Tra coloro che hanno venduto i terreni alla multinazionale c'è pure Giuseppe Pecorino
Revocata autorizzazione a Fassa Bortolo per cava ad Agira Tra i proprietari dei terreni pure un condannato per mafia
Dopo la Soprintendenza ai Beni culturali, a dare un nuovo stop, stavolta pare definitivo, al progetto della multinazionale Fassa Bortolo nel cuore della Sicilia è il Distretto Minerario di Caltanissetta. La cava di calcare nel territorio di Agira non si può fare, perché tra coloro che hanno venduto i terreni alla società veneta c’è pure Giuseppe Pecorino, classe 1941, condannato in via definitiva per associazione mafiosa. Una presenza che fa venir meno il rispetto del Protocollo di integrità e che potrebbe segnare la fine di un progetto ambizioso ma sin dall’inizio osteggiato da più parti: un’attività di estrazione di calcare, con uno stabilimento per la trasformazione del minerale in prodotti industriali. Un investimento da 25 milioni di euro con una ricaduta occupazionale, stando alle stime dell’azienda, di cento posti di lavoro che adesso finiranno altrove.
Tra i principali oppositori al progetto c’è l’associazione SiciliAntica secondo cui la cava comprometterebbe i reperti archeologici che costellano Monte Scalpello. Fassa Bortolo aveva proposto di recuperali e musealizzarli a sue spese in un’apposita area. Ma la Soprintendenza di Enna ha bocciato il progetto. Delocalizzandoli, è questa la tesi degli esperti di archeologia, quelle tracce di memoria sarebbero sminuite nel loro valore.
All’aspetto del vincolo archeologico adesso si aggiunge il fatto che da questa operazione ne tragga vantaggio un condannato per associazione mafiosa, quel Giuseppe Pecorino arrestato più volte e ritenuto elemento di spicco di Cosa Nostra ennese, in particolare del gruppo di Catenanuova. C’è anche lui tra i numerosi proprietari da cui Fassa Bortolo ha acquistato i terreni. La ditta veneta sostiene di non essere stata a conoscenza del profilo dell’acquirente, «altrimenti ci saremmo sicuramente fermati prima», sostengono. E solleva perplessità sugli enti che avrebbero dovuto vigilare su questi aspetti.
La società veneta ha obiettato formalmente che nel contratto preliminare di vendita – datato giugno 2016 – in realtà il titolare del terreno risulta essere il figlio di Pecorino, forte di un atto di donazione del 2013. Ma tra il 2016 e maggio del 2018, quando viene sottoscritto l’atto di compravendita, quell’atto di donazione viene dichiarato nullo e Pecorino conferisce al figlio una procura speciale relativa al terreno al centro della trattativa. Tuttavia il distretto minerario di Caltanissetta – che risponde all’assessorato regionale all’Energia – ha ritenuto non sufficienti le risposte della società veneta e ha dichiarato decaduta l’iniziale autorizzazione concessa il 15 giugno del 2018.