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Concessioni nelle coste, un buco da 200 milioni Flop su aumento dei canoni, i conti non tornano
Circa tremila concessioni nelle coste siciliane e un totale di oltre settemila addetti che lavorano lungo le coste, dai poli petrolchimici fino alla ricettività turistica. Per un incasso annuo per le casse della Regione di otto milioni di euro, decisamente inferiore rispetto agli oltre 11 milioni che incassa una Regione come la Liguria, che però possiede un quinto delle coste dell’Isola. È la costellazione delle concessioni del demanio marittimo siciliano, finito ancora una volta nella bufera per via dei conti che non tornano. Alla Regione tentano di fare il punto sulle concessioni demaniali, incrociando i dati tra l’assessorato al Territorio, quello alle Attività produttive e quello all’Economia, ma l’aver individuato il bandolo della matassa non ha sciolto tutti i nodi, anzi.
Era l’aprile del 2013, infatti, quando un decreto dell’allora presidente della Regione, Rosario Crocetta, aumentava i canoni demaniali del 600 per cento. A ricordare l’episodio, che all’epoca fece ovviamente scalpore tra gli operatori, è stato l’assessore al Territorio Toto Cordaro, in audizione in commissione Ambiente. Un aumento che, nelle previsioni del governo, avrebbe comportato introiti nelle casse regionali per 40 milioni di euro, a fronte degli 8 milioni incassati invece con i contratti in vigore. Erano i giorni che precedevano la discussione a Sala d’Ercole della prima Finanziaria targata Crocetta, per intenderci, e quella previsione di introiti veniva inserita nella legge di stabilità regionale.
Peccato che, finite le polemiche attorno all’esame della Finanziaria, il 17 giugno dello stesso anno un altro decreto, questa volta a firma dell’allora assessore al Territorio, Mariella Lo Bello, riportava la situazione allo stato precedente. «A far data dalla pubblicazione della presente direttiva – si legge sul documento – tutte le concessioni demaniali per le quali è stato richiesto il rinnovo del titolo concessorio, sono rinnovate provvisoriamente d’ufficio fino al 31 dicembre 2015. Le concessioni rinnovate hanno validità alle stesse condizioni dell’atto a suo tempo rilasciato. I canoni da corrispondere saranno quelli segnati nella determina dei canoni trasmessa all’epoca. Con successivo provvedimento si provvederà al conguaglio dei canoni, tenuto conto del decreto 509 del 3 aprile 2013». La discrepanza tra i due provvedimenti ad oggi non è mai stata sistemata.
A lanciare l’allarme su questa vicenda, prima ancora che se ne occupasse l’Ars, era stata la Corte dei Conti, che per voce del procuratore Pino Zingale aveva parlato di «profili di danno erariale». Un danno che, nel tempo, avrebbe superato i 150 milioni di euro, considerato che da quei due decreti sono ormai trascorsi cinque anni, nel corso dei quali la Regione ha incassato una media di 32 milioni di euro l’anno in meno. Senza contare i morosi e chi quei canoni non li ha mai pagati, per un danno complessivo che supererebbe di misura i 200 milioni.
Nell’ultima Finanziaria, il nuovo governo aveva tentato la via di una prima regolamentazione, con una norma che prevedeva la possibilità di concessioni a titolo oneroso, anche cinquantennali, degli immobili «che insistono nelle aree marittime demaniali e che versano in condizione di precarietà accertata». Ma la norma, proprio ieri, è stata impugnata dal Consiglio dei Ministri.
Eppure la stortura non finisce qui, perché, ovviamente le somme che la Regione aspettava di ricevere e che i titolari delle concessioni non ritengono di dover erogare alla luce della direttiva firmata Lo Bello, sono diventate cartelle esattoriali trasferite a Riscossione Sicilia, che a sua volta si trova «ingenti negativi di bilancio – denuncia la capogruppo del Gruppo Misto all’Ars, Marianna Caronia, componente sia della Commissione Ambiente che di quella Bilancio – proprio per i mancati introiti derivati dalle concessioni demaniali. Si tratta di milioni di euro sui quali la società partecipata conta per non restare in ginocchio». Ma che al momento sembrerebbe non doverle dare nessuno.