Il 57enne, secondo gli inquirenti, avrebbe preso le redini della famiglia mafiosa di Gela dopo che i più stretti familiari sono stati condannati all'ergastolo e a 30 anni. Il curriculum criminale è comunque importante: dall'affiliazione a Cosa nostra avvenuta in carcere alla posata dopo la faida con gli Emmanuello
Rinzivillo, capo al servizio dei fratelli detenuti Da manifestazioni di potere a richiesta di consigli
Magari non «cristianu d’azioni» come il gemello Ginetto, ma sempre uno che ha avuto la possibilità di scegliersi come padrino per l’affiliazione a Cosa nostra un boss del calibro di Piddu Madonia. Con tanto di cerimonia che si sarebbe svolta all’interno del carcere di Rebibbia, durante la pausa di un’udienza. Per tracciare il ritratto di Salvatore Rinzivillo – tra i 37 arrestati nell’ambito delle due operazioni antimafia di ieri nonché ritenuto al vertice dell’omonima famiglia mafiosa di Gela – si può partire da qui: dalle differenze con i fratelli Antonio e il già citato Ginetto, all’anagrafe Crocifisso, e l’eredità raccolta quando ai due vengono comminati rispettivamente l’ergastolo e 30 anni di carcere.
Ciò perché – per quanto i magistrati lo ritengano reggente, con capacità di gestire sia i rapporti con gli altri clan che gli affari legati a droga, estorsioni e riciclaggio – Salvatore Rinzivillo arriva al vertice soltanto quando c’è da sostituire i più autorevoli fratelli. Di ciò ne sono convinti gli investigatori che, dal tenore dei colloqui che l’uomo ha in carcere con i due, deducono che anche da dietro le sbarre «Antonio e Crocifisso continuassero a comandare»; ma pure due fedelissimi dello stesso Salvatore che, intercettati, si lasciano andare ad alcune considerazioni. «Chistu cristianu d’azioni un nu fazzu», dice uno, paragonando le differenze caratteriali tra i fratelli. Parere che trova conferma nelle parole dell’interlocutore: «Salvatori paceri è». La discussione va avanti con i due che ricordano come «ddrocu Antoniu cumanna», anche se Ginu sarebbe quello più «sangunusu».
Tali valutazioni, tuttavia, non devono fare pensare che il clan Rinzivillo non fosse in mani solide. Il curriculum criminale di Salvatore, in tal senso, parla chiaro: oltre a due condanne per traffico di droga subite a fine anni Ottanta, il 57enne viene condannato per mafia una prima volta nel 2001, con il reato commesso nella provincia di Caltanissetta, e una seconda nel 2010, quando è ritenuto responsabile di fatti accaduti non solo a Gela, ma anche a Busto Arsizio e Roma.
Proprio nella Capitale aveva stabilito la residenza. Ed è da qui che, dal 2014 in poi, Rinzivillo «inizierebbe a recarsi sempre più spesso a Gela», con il chiaro intento di «riprendere le redini delle attività illecite». Gli inquirenti ritengono successivo al 2013 – anno in cui esce dal carcere – il momento in cui Salvatore ottiene l’investitura dai fratelli. Il compito è quello di rafforzare il potere della famiglia sul territorio. Non solo siciliano, ma anche nazionale e internazionale, con referenti scovati anche in Germania.
L’acquisizione della reggenza avviene in una fase in cui il 57enne non è più uomo d’onore da parecchio tempo. Lo status infatti viene meno nel 2002, otto anni dopo l’affiliazione e alla fine della faida nella città nissena tra i Rinzivillo e il gruppo avversario degli Emmanuello, che vede vittoriosi questi ultimi. Ad acconsentire a posare Salvatore è il fratello Antonio, che a sua volta cede la guida della famiglia al latitante Daniele Emmanuello. Il non essere più uomo d’onore, però, non avrebbe limitato lo spessore criminale del 57enne. «Nonostante fosse stato posato, il protagonismo nella gestione degli affari illeciti – scrive il gip David Salvucci – non venne mai meno».
A tale protagonismo, nelle oltre 1400 pagine dell’inchiesta della Direzione distrettuale antimafia di Caltanissetta, si fa cenno in più di un’occasione. Si tratta di fatti accaduti in periodi in cui Rinzivillo, pur non essendo ancora al vertice della famiglia, gode comunque di autonomia. Come nel caso in cui – stando a quanto raccontato dal collaboratore di giustizia Emanuele Terlati – Salvatore lo avrebbe incaricato di uccidere un uomo perché si era rifiutato di accompagnarlo a Roma con la propria auto. La suscettibilità del 57enne si sarebbe manifestata – racconta il collaboratore Rosario Vizzini – anche nella decisione di fare incendiare la casa di un imprenditore, dopo che quest’ultimo, pressato dalle continue richieste di denaro, aveva osato «dirgli che non gradiva la sua presenza». Rinzivillo, inoltre, avrebbe vantato importanti conoscenze – e le operazioni di ieri lo testimoniano con l’arresto di due carabinieri e un avvocato – capaci di ritardare la trattazione dei processi in Cassazione.
Soltanto alcune delle sfaccettature della personalità del reggente mafioso arrestato ieri. Che pur non disdegnando le dimostrazioni di potere, non avrebbe mai dimenticato di portare rispetto ai fratelli carcerati. È l’inizio di giugno 2016 quando Salvatore chiede ai familiari di fare avere a Ginetto il certificato di morte del padre. Per gli inquirenti si tratterebbe soltanto dell’ennesimo espediente per agevolare le comunicazioni coi fratelli, consapevole che in quella circostanza «avrebbe potuto fare il colloquio in carcere senza la schermatura del vetro».