Destinatario oggi di un provvedimento di sequestro, il curriculum criminale del 47enne originario di Bronte inizia nel 1988, quando è denunciato da una coppia di 25enni in provincia di Verona. Da quel momento è un'escalation che si chiude nel 2004. Lo stesso anno in cui inizia a fare affari con i finanziamenti pubblici
Giuseppe Pruiti, la carriera del boss di Cesarò Dalle molestie all’omicidio, fino all’ergastolo
Dalle molestie sessuali all’associazione mafiosa, passando per un omicidio. La carriera criminale di Giuseppe Pruiti, 47enne ritenuto capo della cosca di Cesarò e oggi destinatario di un provvedimento di sequestro disposto dal tribunale di Messina, inizia nel 1988 e va avanti fino al 12 febbraio 2004, quando viene arrestato nell’ambito dell’operazione Tunnel, con l’accusa di essere vicino a soggetti di spicco della criminalità organizzata, tra i quali Turi Catania e Francesco Montagno Bozzone. I due – uniti a inizio anni Duemila e leader del gruppo attivo sui Nebrodi – successivamente entrano in contrasto, con Catania che rimane referente del clan Santapaola–Ercolano e Montagno Bozzone che si avvicina ai Carcagnusi.
Sono anni di violenza a cavallo tra le province di Catania e Messina, con diversi morti ammazzati. Uno di questi è Bruno Sanfilippo Pulici, allevatore di Maniace, ucciso in contrada Vallonazzo a Cesarò il 3 giugno 2002. A farlo fuori, secondo i giudici, è proprio Pruiti, che per quel delitto viene condannato all’ergastolo, che dal 2012 sconta nel carcere di Spoleto. Nonostante la permanenza forzata in Umbria, Pruiti sarebbe ancora punto di riferimento per la mafia di Cesarò, con il fratello Giovanni – arrestato a metà febbraio insieme ad altre otto persone in un’operazione della Dda di Catania – che ne avrebbe fatto le veci sul territorio.
Nato a Bronte nell’estate del 1969, per Pruiti i primi guai iniziano a 18 anni. È il marzo 1988, quando una coppia di 25enni – lui brindisino, lei finlandese – si presenta davanti ai carabinieri di Bardolino, nel Veronese, per raccontare di un giovane che si sarebbe reso responsabile di atti violenti di libidine, lesioni e minacce. Meno di tre anni dopo, le forze dell’ordine registrano una nuova denuncia, da parte di una donna che accusa Pruiti di violenza carnale e sequestro di persona. Gli anni Novanta per il brontese vanno avanti tra querele per rissa e lesioni e segnalazioni per porto illegale di coltello. Nel mezzo alcune denunce per macellazione clandestina, con il settore della carne che, insieme a quello dell’allevamento dei capi di bestiame, rimane il business principale per i fratelli Pruiti.
Nel 1998, l’allora 29enne è accusato di tentata estorsione e danneggiamento di una casa rurale. Pericolosità criminale che lo accompagna e trova il suo culmine a inizio anni Duemila. È del 2001 un arresto per rissa e una denuncia per l’incendio di un altro immobile di campagna. L’anno successivo, la sezione misure di prevenzione del tribunale di Messina gli notifica la sorveglianza speciale per un anno. Misura restrittiva che però non basta a limitare la violenza dell’uomo che, meno di quattro mesi dopo, stando ai giudici, entra in azione per uccidere Sanfilippo Pulici, fatto fuori per alcuni sgarri al clan e morto all’ospedale Cannizzaro di Catania, non prima di aver fatto i nomi dei propri assassini.
Il caso vuole che l’arresto per associazione mafiosa coincida per Pruiti con l’inizio degli affari nel settore dei finanziamenti pubblici al settore agricolo. Risalgono, infatti, al 2004 i primi fondi ricevuti, per un valore complessivo di poco meno di 30mila euro. Di cui circa cinquemila percepiti direttamente da Pruiti, che aveva inoltrato la richiesta nel 2003, e circa 23mila diretti alla moglie Angioletta Triscari Giacucco. Come risaputo, le elargizioni a esponenti vicini alle cosche sono state stoppate con il protocollo di legalità promosso due anni fa dal presidente del parco dei Nebrodi Giuseppe Antoci.
Tuttavia, secondo gli inquirenti, anche 13 anni fa Pruiti non avrebbe dovuto avere la possibilità di accedere a fondi pubblici. Infatti, in base all’articolo 10 della legge 575 del 1965, in materia di disposizioni contro la mafia, «le persone alle quali sia stata applicata con provvedimento definitivo una misura di prevenzione non possono ottenere concessioni di beni demaniali, allorché siano richieste per l’esercizio di attività imprenditoriali». Divieto vigente per cinque anni anche per «chiunque conviva con la persona sottoposta alla misura di prevenzione, nonché nei confronti di imprese, associazioni, società e consorzi di cui la persona sottoposta a misura di prevenzione sia amministratore o determini in qualsiasi modo scelte e indirizzi».