Carcere a vita e isolamento diurno per un anno. È questa la condanna che il tribunale di Caltanissetta ha deciso, in primo grado, per l'uomo che è ritenuto dagli inquirenti un esponente di spicco del clan Cappello nell'Ennese. Le accuse riguardano i fatti di sangue del luglio 2008, avvenuti in un bar al centro del paese
Strage Catenanuova, ergastolo per Giampiero Salvo «S’è avvicinato lui, c’ho fatto segnale e c’ha sparato»
Carcere a vita. E isolamento diurno per un anno. È la condanna in primo grado che il tribunale di Caltanissetta ha stabilito per Giampiero Salvo, ritenuto dagli inquirenti esponente di spicco del clan Cappello. Secondo il giudice Antonio Balsamo, Salvo è colpevole di quella che è passata alla storia come la strage di Catenanuova. Un fatto di sangue che ha sconvolto il piccolo paese dell’Ennese il 15 luglio 2008, quando un commando armato di kalashnikov ha sparato in un bar del centro cittadino. Un regolamento dei conti nel corso del quale era stato ucciso Salvatore Prestifilippo Cirimbolo ed erano rimaste ferite altre cinque persone. Giampiero Salvo è fratello del più giovane Massimiliano, tornato a casa dopo un periodo di latitanza, ma solo dopo l’annullamento dell’ordinanza del suo arresto da parte del tribunale del Riesame. Si è parlato di lui a proposito dell’annacata della candelora degli ortofrutticoli a pochi metri dalla sua abitazione di Catania, durante la festa di Sant’Agata del 2015. Assieme a Giampiero Salvo è stato condannato anche Filippo Passalacqua, ex compagno di Giovanna Salvo e neo-pentito a disposizione della procura nissena. Per lui la pena è stata ridotta a 15 anni di reclusione.
È l’1.15 del mattino in via Vittorio Emanuele III, a Catenanuova. Al bar Grasso, al civico 80, ci sono Salvatore Prestifilippo Cirimbolo, suo fratello Maurizio e diverse altre persone. Sulla strada, a piedi, si avvicinano due uomini con il volto coperto da caschi da motociclisti. Secondo il giudice che li ha condannati oggi si tratta di Salvo e Passalacqua, che portano con sé due pistole calibro 7,65 e un mitragliatore calibro 7,62. In pochi secondi «numerosi colpi» raggiungono Prestifilippo Cirimbolo alla testa, al tronco e alle gambe. I due killer scappano su un’auto forse di colore grigio metallizzato. «Le modalità dell’agguato, le armi usate e il volume di fuoco sviluppato apparivano immediatamente sintomatiche dell’attività di organizzazioni criminali di tipo mafioso», scrive la procura di Caltanissetta in un’ordinanza legata alla strage. Per il destinatario degli spari non c’è niente da fare. Arriva all’ospedale Umberto I di Enna già morto. E gravissime sono le lesioni per le altre persone colpite nel corso del raid punitivo.
Il motivo del contendere è il territorio di Catenanuova e le indagini continuano fino al 2011. Da chiarire ci sono i perché di uno dei più sanguinosi fatti degli ultimi anni nell’entroterra siculo. Per gli investigatori, Salvo e Passalacqua vogliono punire l’estrema esuberanza di Salvatore Prestifilippo Cirimbolo. Quest’ultimo, secondo un pentito, si sarebbe avvicinato al clan Cappello per ripristinare il potere della sua famiglia sul territorio di Catenanuova. Una questione di estorsioni e droga. «I Prestifilippo sono convinti che Passalacqua gli abbia fatto, praticamente, solamente un favore – spiega ai magistrati il collaboratore di giustizia Antonino Mavica – Mentre invece Passalacqua ne vuole il controllo del paese, anche per… per quanto riguarda le estorsioni. Passalacqua è convinto che i soldi delle estorsioni devono andare alla famiglia Cappello, mentre invece i Prestifilippo sono convinti che vanno… restano a loro, a Cosa Nostra». Un «equivoco», lo definisce il collaborante. Un contrasto tra la visione imprenditoriale dei Cappello, che arrivano da Catania con l’obiettivo di prendere il territorio, e quella delle vecchie famiglie di Cosa nostra ennese, che puntavano a ripristinare un prestigio in declino.
È così che Catenanuova, un paese con meno di cinquemila abitanti, si trova in mezzo a una guerra di mafia. «Loro in contrasto sono entrati perché facevano ‘u doppio gioco cu’ i Santapaola», racconta Filippo Passalacqua alla procura di Caltanissetta. «Scusa, tu fai riferimento a un clan, giustamente, se c’è qualcosa, la devi… a parte portare – aggiunge Passalacqua – Che uno poi non è che ti dice di dargli la metà, perché là non c’era ‘u fattu: “Mi devi portare metà”. Ma almeno qualcosa…». Salvatore e Maurizio Prestifilippo Cirimbolo, però, non portavano abbastanza. E continuavano a intrattenere rapporti con Cosa nostra di Enna. È per questo che vengono esclusi dalla riscossione del pizzo. Ed è per questo che il clan Cappello chiede loro indietro delle somme non riscosse, che non arrivano. Per organizzare l’omicidio ci vuole poco tempo. Giampiero Salvo, nei racconti di Passalacqua, imbraccia il mitra e una delle due pistole. Mentre Filippo Passalacqua usa l’altra. «I bossoli – dice il pentito – quelli là sul marciapiede, erano quelli miei, quelli che ho sparato io». «A quelli seduti – continua – Ho sparato a Maurizio Prestifilippo e a quelli che erano là. Poi al ritorno c’ho puntato la pistola in testa e ce l’avevo scarica». Le armi di Salvo, invece, di proiettili ne hanno ancora. «S’è avvicinato lui, c’ho fatto segnale, e c’ha sparato».