Articolo 37: ci sono solo 30 giorni per evitare la truffa del secolo

Ricevo da Link Sicilia una “bozza” informale del decreto attuativo che attiverebbe, insieme a tanta altra materia che riguarda la Sicilia solo marginalmente, il famoso articolo 37. Ricevo e leggo con attenzione e – confesso – qualche trepidazione.

Ebbene, concittadini, le cose stanno come segue.

Sarò un po’ tecnico, ma vi prego di seguirmi, ne va delle vostre tasche e del destino dei vostri figli.

L’art. 37 dello Statuto ha avuto un primo decreto attuativo, troppo generico, già nell’art. 4 del decreto 1064/1965, troppo generico, appunto, per essere operativo.

Per questa ragione, dopo anni di “sonno”, ne è arrivato un altro (l’attuativo dell’attuativo?) nel 2005. Tanta fanfara sui giornali e poca carne al fuoco: intanto perché l’allora Ministro dell’Economia, Giulio Tremonti, pretese allora che, per ogni euro di nuove risorse, la Sicilia si facesse carico di altrettante funzioni dello Stato, ma soprattutto perché poi non se ne fece di nuovo niente poiché, per le modalità pratiche di attuazione, quel decreto rimandava ad un altro decreto, questa volta emesso unilateralmente dal Governo (l’attuativo dell’attuativo dell’attuativo?).

Non se ne fece niente. Seguì una pomposa mozione del Parlamento che richiese al Governo Berlusconi di provvedere…ma niente da fare, aria fritta.

Ora finalmente quell’attuativo “al cubo” arriva, ma… rimanda ancora una volta ad un altro decreto (attuativo alla quarta potenza?) che dovrebbe essere emanato entro 30 giorni da questo e, udite udite, di concerto tra il Ministero dell’Economia e l’Assessorato regionale omonimo! Quindi ancora una volta la modalità pratica di esecuzione di questo articolo è rimandata. Ma questa volta… di poco, e con il pieno rispetto della pariteticità che dovrebbe regolare i rapporti tra Stato e Regione.

La “commissione paritetica”, naturale depositaria del potere di elaborare i decreti attuativi, è così esautorata ed umiliata. Ma in fondo poco importa se il rapporto pari tra Stato e Regione è mantenuto nella sostanza seppure su di un altro tavolo.

E allora i 50 milioni di euro di cui si parla sui giornali cosa sono?

Intanto non sono 50, ma addirittura 49. Essi sono poi l’attuazione “provvisoria” di questo articolo per l’esercizio 2013. Un forfait, quindi, per chiudere la partita per quest’anno. E per i prossimi? Ci sono solo stime di poco superiori, ma comunque queste sono solo stime; nella pratica saranno le nuove regole a decidere a quanto ammonterà il nuovo gettito per la Sicilia. Insomma i giochi sono ancora aperti!

E, però, quando a consuntivo si vedrà queste regole cosa avranno fruttato realmente alla Sicilia, lo Stato avrà il diritto di passare spese, o funzioni e uffici, o tagliare trasferimenti, di pari entità in modo che il passaggio sia finanziariamente neutrale.

Va da sé che ogni aumento futuro di quel gettito invece sarà a tutto vantaggio della Regione.

Come giudicare questo passaggio? Vediamo un po’, stiamo attenti, soprattutto quando come controparte abbiamo i furboni che ci manda l’Europa.

Intanto in effetti ci sono alcuni segnali scoraggianti. Ci sono alcune cose che non vanno per niente e che vanno dichiarate, anche se – invero – non di vitale importanza.

La prima è che il decreto dà un colpo di spugna sul “maltolto” dal 1947 al 2012. Per tutte le risorse che lo Stato ha sempre preso indebitamente dalla Sicilia, l’importo che ci deve versare è pari a 0 (leggonsi zero).

Ora, capisco la crisi, capisco la prescrizione di somme lontane, e così via. Ma anche a voler prendere per buona la cifra ridicola di 50 milioni di euro e spalmandola sul passato di 66 anni, anche su quelli del boom economico, senza interessi e rivalutazioni, si arriva, con facili calcoli, a 3 miliardi e 300 milioni. Possibile che per il passato non ci si riconosca, magari per dignità, soltanto questo? Neanche 3 miliardi? Ma dov’è finita la nostra dignità?

La seconda è che la somma, in sé trascurabile, è poi scrupolosamente compensata dallo Stato con tagli a trasferimenti che – se non ho capito male il giuridichese/giapponese in cui sono espressi – sono trasferimenti in conto capitale, e quindi quelli dell’art. 38 dello Statuto. Ora questo non si fa, signori del Governo, non si fa proprio. E non per la cifra, che è del tutto irrisoria e simbolica, ma proprio ancora una volta per la nostra dignità.

Il decreto del 2005, nel suo egoismo leghista, consentiva di tagliare trasferimenti dello Stato verso la Sicilia di eguale entità, ma soltanto per la parte corrente. Tagliare la perequazione infrastrutturale contro una Regione a ritardato sviluppo è davvero criminale, a dir poco… Per aumentare le risorse di parte corrente si tagliano le spese per lo sviluppo? Ma stiamo scherzando? Ripeto, sono cifre irrisorie, ma – come si dice dalle nostre parti – “si è vista la parte”.

In teoria si poteva limare il contributo dello Stato al Fondo sanitario, solo per fare un esempio, ma – in tutta onestà – se la Regione è stata già frodata dall’operazione Imu, che fa ricadere sulle sue spalle il finanziamento dei Comuni e dirotta illegittimamente allo Stato la metà di quel gettito, se la Regione già è stata decurtata unilateralmente e senza compensazione di parte del sostegno nella spesa sanitaria, non sarebbe stato segno di unità nazionale e solidarietà lasciare stare questa cifra simbolica e irrisoria nelle ‘casse’ della Regione senza compensazione alcuna?

Per il bilancio dello Stato stiamo parlando di centesimi… e questi vengono tolti da quel pochissimo che resta dell’art. 38?

Ma la terza e più preoccupante cosa è che la cifra (e le previsioni per gli anni immediatamente successivi) non lascia presagire nulla di buono. Cosa hanno in testa a Roma? Che per due lenticchie ci vendiamo l’art. 37? Chi vogliono far ridere con quei 49 milioni?

Però – detto questo – non tutto è perduto. Il decreto, chissà, dietro intervento dell’opinione pubblica e del Parlamento regionale, potrebbe anche essere fatto bene. Dobbiamo sperarlo, dobbiamo crederci, dobbiamo imporlo! Invito perciò tutte le forze politiche siciliane responsabili ad elaborare un progetto di decreto, un memorandum di punti ineliminabili, sui quali confrontarsi IMMEDIATAMENTE con il Governo regionale, in modo che questo possa essere più forte a Roma, facendo sapere lì che l’Assemblea regionale siciliana e il Popolo siciliano sono tremendamente svegli su questo argomento e che non consentiranno passi falsi.

Cosa dovrebbe contenere questo memorandum?

Una serie di regole semplici per l’attuazione dell’art. 37, naturalmente. Quali? Quelle giuste, tanto lo Stato poi, anche si trattasse di 4 miliardi l’anno, avrebbe tutto l’agio di trasferirci una somma pari di spesa pubblica (e comunque ci guadagneremmo, come poi spiegherò).

E allora:

1. Tutte le imprese e gli esercizi di arti e professioni , risiedenti fuori dalla Sicilia, che conseguono ricavi in Sicilia o che in Sicilia sostengono costi per avervi una sede stabile, devono determinare la quota di reddito d’impresa, o di esercizio di arte e professione, di competenza della Regione in due dei seguenti modi possibili:

a) o tenendo una contabilità e un bilancio separato per il ramo d’azienda presente nell’Isola, con una stabile identificazione di esso presso l’Agenzia delle entrate siciliane, e separata dichiarazione dei redditi, salvo poi consolidare i conti di questo ramo con la contabilità e il bilancio aziendale complessivo, alla stessa stregua di una società controllata;

b) o con una determinazione forfetaria, ma determinabile in modo certo: il reddito da attribuire alla Sicilia (e quindi il relativo gettito d’imposta) è calcolato per il 50 % in base alla percentuale di ricavi conseguiti nell’Isola rispetto al totale, e per il restante 50 % in base alla percentuale dei costi per acquisti di beni e servizi, per godimento di beni di terzi, per il personale, per variazioni di magazzini di materie e merci ubicati nell’Isola, per ammortamenti e svalutazioni specifiche di beni ubicati nell’Isola, rispetto al totale dei costi della produzione.

2. Le imprese e gli esercizi di arti e professioni residenti nell’Isola, determinano in modo simmetrico la quota spettante all’erario.

3. L’Agenzia delle entrate e tutti gli uffici finanziari dell’Isola sono trasferiti alla Regione. Il loro costo è coperto transitoriamente da un trasferimento statale di entità pari alle spese regionalizzate del Ministero dell’Economia, non rivalutabile negli anni a venire.

4. Al termine del primo anno di attuazione delle nuove regole, si determina il maggior gettito che è conseguito alla Regione. Esso sarà sgravato da analoghe spese dello Stato sui futuri esercizi, secondo il seguente ordine:

a) in primo luogo il maggior gettito va ad abbattimento del trasferimento statale per il costo della locale agenzia delle entrate;

b) seguono tutti i trasferimenti correnti dallo Stato alla Regione, a partire da quello relativo al Servizio Sanitario Nazionale;

c) seguono tutti i trasferimenti correnti dallo Stato agli enti locali, da surrogare da parte della Regione;

d) seguono la Scuola, l’Università e la Ricerca Scientifica e Tecnologica;

e) vengono infine tutti quegli uffici statali, esclusa la materia previdenziale e assistenziale, su materie per le quali la Regione vanti almeno competenza legislativa concorrente;

f) in caso di incapienza anche di questi costi, il maggior gettito è attribuito in via definitiva alla Regione siciliana e senza contropartita alcuna.

Le semplici regole sopra esposte danno un vantaggio sicuro alla Sicilia senza alcun problema di copertura finanziaria per lo Stato. Intanto la gestione propria delle entrate evita in futuro ogni abuso da parte dello Stato ed aumenta il potere contrattuale della Regione. Poi la Regione può organizzare, coi propri soldi, i propri servizi senza sottostare a tagli o dimensionamenti calati dall’alto (come accade oggi nella scuola o nella sanità). Infine, se il gettito aumenta alla ripresa
economica (dovrà pur esserci un giorno), lo Stato non avrà nulla a pretendere su questo maggior gettito.

In pratica in questo modo si attuerebbe, con gran vantaggio, soprattutto prospettico, per la Sicilia, non solo l’art. 37, ma anche l’intero primo comma del 20, che vuole la devoluzione integrale alla Regione di tutte le materie su cui l’Assemblea regionale abbia potestà legislativa.

Qualcuno potrebbe osservare che così la Sicilia non contribuirebbe alle spese comuni dello Stato e che, per contro, non abbiamo parlato del 2° comma dell’art. 20, con il quale lo Stato deve delegare alla Regione anche le funzioni “sovrane” (polizia, giustizia, etc.), con la sola eccezione della Difesa. Ma, su questo, non dimentichiamo che lo Stato trattiene già le entrate del 2° comma dell’art. 36 (essenzialmente le accise e le entrate da giochi e scommesse) proprio a tale titolo.

Su queste va fatto un altro discorso, questa volta di compartecipazione ai sensi dell’art. 119 Costituzione, perché se la Regione svolge per delega tutte le funzioni dello Stato in Sicilia, è giusto che una parte (cospicua) delle risorse che lo Stato raccoglie in Sicilia a tale titolo restino nella Regione. Quello che lo Stato fa per noi fuori (tipo esteri) o dentro (difesa) lo potrebbe finanziare anche con una piccola quota di queste ulteriori entrate.

Poi c’è la questione famigerata degli accantonamenti. Questi sono illegittimi, mirati a far fare macelleria sociale alla Regione, o a farla fallire per poi poterla commissariare. Insomma un vero colpo di Stato! Le entrate sui tributi devoluti (IRPEF, IRES, IVA) devono essere intoccabili. Se pretendiamo il passaggio dell’Agenzia delle Entrate ORA, daremo ordini immediati di non disporre più alcun accantonamento a favore dello Stato. Se non altro perché non è dovuto e perché è assolutamente sproporzionato e insostenibile.

La mozione, quindi, non dovrà solo fissare i punti precedenti, e far valere VERAMENTE il contenuto dell’art. 37, ma deve ancora una volta mettere in chiaro quali sono i diritti finanziari e patrimoniali della Regione. In sintesi, per chi lo avesse dimenticato:

1. Tutto il patrimonio e il demanio dello Stato devono passare de jure alla Regione, compresi i diritti di sfruttamento di acque territoriali, zona limitrofa e piattaforma continentale. Non c’è nessuna ragione, caserme a parte, perché elettrodotti, autostrade, aeroporti e in genere tutte le infrastrutture di rilievo non debbano essere regionalizzate. Se lo Stato ritiene che qualche bene specifico debba essere escluso da questa regionalizzazione perché “di interesse nazionale” (a parte ovviamente quelli militari), ci faccia un elenco specifico e ne parliamo. Anche il demanio e patrimonio militare, in caso di smilitarizzazione, devono tornare alla Sicilia.

2. Lo Stato deve prevedere CON PROPRIA LEGGE O DECRETO ATTUATIVO DELLO STATUTO che le proprie leggi tributarie, fuori da quelle che riguardano le entrate ad esso riservate dal secondo comma dell’art. 36, non abbiano più efficacia alcuna per l’avvenire sul territorio della Regione siciliana. Su queste la Regione deve provvisoriamente introitare ogni gettito secondo la norma statale e può modificarla in futuro come vuole, nel solo rispetto degli obblighi europei e costituzionali. Possiamo abbassare l’IVA e dimezzare l’IMU.

Ma per attuare il 1 comma dell’art. 36, non solo i redditi d’impresa, ma tutti i tributi devono progressivamente essere regionalizzati, a iniziare dall’IVA. Anche qui possiamo pensare ad una compensazione dello Stato (per i nuovi tributi che attrarremmo alla nostra competenza) con le stesse regole dell’art. 37: ad ogni nuova entrata facciamo corrispondere una nuova voce di spesa corrente che togliamo allo Stato, finché l’elenco di cui sopra è capiente.

3. Lo Stato ci deve dire una volta per tutte quanto è il debito della Sicilia per le funzioni che questa non può prendersi: difesa, organi costituzionali centrali dello Stato, esteri, servizio del debito. Su questa base calcoliamo una quota che riserviamo allo Stato sulle entrate di cui al secondo comma dell’art. 36 (accise e scommesse) e il resto lo teniamo noi come compartecipazione. In cambio ci facciamo la nostra polizia, come prevede lo Statuto ed esercitiamo ogni funzioni statale nell’Isola per delega dallo Stato. Stralcerei solo, per la complessità e delicatezza del tema, la materia previdenziale/assistenziale e quella monetaria, che rinvierei ad un secondo momento e lascerei momentaneamente nelle mani degli enti statali allo scopo previsti (INPS, Inail, Banca d’Italia), ma con riserva di ritornarci presto.

4. Lo Stato, che in tal modo nulla darebbe alla Sicilia, ma che anzi pretenderebbe qualcosa per il servizio del debito, ha però l’obbligo della perequazione infrastrutturale ex art. 38. A questa deve essere data base giuridica certa, sostenibile, ma sostanziosa, in grado in ogni caso di incidere per ripianare il gap che ci separa dal resto d’Italia.

Solo se l’attuazione del 37 sarà legata a questi temi essa avrà un senso e avremo avuto per davvero una svolta. Altrimenti sarà stata la più grande truffa di tutti i tempi.

Non possiamo viceversa accettare macellerie sociali per conto terzi o guerre tra poveri che finirebbero di devastare la Sicilia.

La Sicilia è debole, certo, affranta, ma forse da questa disperazione potrà trarre la forza per difendere unitariamente i propri interessi. Con la nostra Agenzia delle entrate e con la nostra potestà tributaria potremo fare miracoli. La Sicilia cambierà e nessuno in breve la riconoscerà.

A solo titolo di esempio potremo abbandonare il sistema vessatorio di riscossione dei tributi copiato da Equitalia e costruirne uno che dia più respiro a chi produce.

Speriamo bene.

Ma non facciamo venir meno l’attenzione.

So che questo mio articolo è stato poco giornalistico: lungo e tecnico. Ma so di non essere solo. Se non fosse stato per la lunga marcia, che da più di dieci anni, ha coinvolto sempre più siciliani nella conoscenza, divulgazione e pretesa di rispetto dello Statuto, col piffero che oggi vedremmo così a portata di mano questi traguardi.

Quello che sta succedendo oggi è merito di tanti, un po’ anche nostro, lasciatemelo dire. Ma stiamo attenti.

In questi trenta giorni, di braccio di ferro tra Roma e Palermo, ci giochiamo il nostro avvenire.

Al Presidente e all’Assessore regionale il compito di entrare nella storia: o nel bene, o nel male, noi li abbiamo avvertiti.

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