Articolo 21: chi l’ha visto?

«Tutti hanno diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione. La stampa non può essere soggetta ad autorizzazioni o censure». Così recita l’articolo 21 della Costituzione e proprio con la lettura di detto articolo da parte del giornalista e parlamentare europeo Claudio Fava si è aperto il secondo dibattito del ciclo di iniziative intitolato “L’Italia è una repubblica democratica”, che fa il punto sullo stato di salute della Costituzione italiana che compie sessant’anni.
 
Ad assistere all’incontro, che si è tenuto venerdì scorso all’auditorium dei Benedettini, c’era una folla di un migliaio di persone composta per lo più da giovani, molti dei quali disposti a restare in piedi per oltre due ore. Claudio Fava, dopo una breve introduzione, mette a confronto il giornalismo italiano con l’esempio dell’americana Diana Prest. Questa giornalista, autrice di un articolo scomodo per il presidente Bush, fu portata alla Casa Bianca e messa alle strette dal presidente in persona. Ma fece lo stesso uscire il pezzo. «Non ci sono molti giornalisti così in Italia – sostiene Fava – Il nostro è un paese a libertà sospesa».
Un’analisi condivisa da Marco Travaglio, ospite dell’incontro: «Io incoraggio i giovani a diventare giornalisti, ma purtroppo chi vuol fare giornalismo seriamente non fa carriera. Tuttavia oggi non esiste più il richiamo del potente di turno. Piuttosto c’è l’autocensura».
 
Travaglio racoglie applausi quando concentra l’attenzione sulla realtà catanese: «La situazione del mercato editoriale è gravissima, ma voi ne sapete già qualcosa dato che siete nel regno di Ciancio». Si discute quindi del caso delle pagine siciliane di Repubblica, stampate a Catania negli stabilimenti di Ciancio ma non distribuite, per non fare concorrenza a “La Sicilia”, nelle edicole della Sicilia orientale. Altro tema di dibattito è stato l’ordine dei giornalisti, di cui in molti chiedono l’abolizione. Secco il commento di Travaglio: «Bisognerebbe occuparsi di altro. Io sono fautore di un ordine serio e siccome quello dei giornalisti non lo è si potrebbe anche eliminarlo; la situazione non cambierebbe».
 
Particolarmente carente, secondo Travaglio, l’informazione sui temi della giustizia. Ne è la prova il processo Andreotti, la cui sentenza definitiva è stata presentata all’opinione pubblica come una vittoria dell’imputato. Travaglio ricorda invece che, per i fatti precedenti al 1980, «Andreotti ha avuto la prescrizione, non l’assoluzione. Secondo la sentenza definitiva ha avuto rapporti certi con la mafia. Ma non c’è stato un giornalista che lo abbia detto». Critiche anche per Berlusconi e per il suo irrisolto conflitto di interessi; e per Veltroni, che in campagna elettorale ha detto di voler fare, su questo tema, una legge non punitiva. «Ma che legge è se non prevede una punizione?», si domanda Travaglio.
 
Fava, da parte sua, si concentra soprattutto sul caso dell’informazione a Catania e sulle conseguenze che comporta l’esistenza di un solo giornale. Ricorda che “La Sicilia”, per parlare di Università sulle sue pagine, si fa pagare dallo stesso Ateneo decine di migliaia di euro. Ma parla soprattutto di mafia. E richiama alla memoria un episodio che risulta da atti giudiziari: «Mario Ciancio, alcuni anni fa, rimproverò un suo cronista per avere dato del mafioso a un mafioso». Il sistema mafia, conclude Fava, «non vuole mollare la presa sul territorio siciliano». E in questo quadro la mancanza di un vero pluralismo nell’informazione appare particolarmente grave.
 
Negli interventi del pubblico, molte domande vertono sul “V2Day” di Beppe Grillo in programma per il 25 Aprile. E Fava annuncia di voler invitare proprio Grillo per un futuro dibattito.
 
Di seguito un video ripreso da Youtube in cui Marco Travaglio esprime la sua opinione sull’Ordine dei giornalisti:


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