Ars incartata e bloccata sulle Province dimezzate Nuovo commissariamento per nascondere il vuoto politico

Avevano detto: «Adesso con il nuovo Governo Crocetta ter tutto cambierà. Si sbloccherà l’attività dello stesso Governo e riprenderà l’attività legislativa». Non sappiamo che cosa siano riusciti a sbloccare il presidente e nuovi e vecchi assessori (anche alla luce di tanti, forse troppi mal di pancia interni al Pd). Ma sappiamo con certezza che l’attività legislativa di Sala d’Ercole è bloccata.

Oggi il Parlamento siciliano torna a riunirsi per approvare una legge-beffa sulle Province o ex tali. Poi, nella migliore delle ipotesi, solo attività delle Commissioni legislative, tanto per rutuliare (leggere far passare comunque il tempo). Perché anche se siamo già quasi a metà novembre, non ci sono ancora notizie sulla manovra finanziaria 2015. Un mese e mezzo di sessione di Bilancio passato senza far nulla.  

Ma oggi l’attenzione sarà incentrata sulla legge-beffa sulle Province. Ricordate cosa succedeva un paio di settimane fa? C’era già pronto un disegno di legge, messo a punto dalla presidenza dell’Assemblea regionale siciliana, per approvare in Sicilia la riforma nazionale delle Province che porta il nome del sottosegretario alla presidenza del Consiglio dei Ministri, Graziano Delrio. Contemporaneamente, il presidente Rosario Crocetta, che per un anno non aveva fatto un tubo su tale materia, annunciava un disegno di legge del Governo, diverso da quello della presidenza dell’Ars. 

Peccato che nella seduta di oggi, all’ordine del giorno, non c’è né il disegno di legge della presidenza dell’Ars, né il disegno di legge del Governo Crocetta. C’è un disegno di legge, come abbiamo scritto ieri, che punta solo a rimettere in sella i commissari straordinari delle Province, con buona pace del completamento della riforma. 

Perché sono scomparsi i disegni di legge della presidenza dell’Ars e del Governo? E perché si proseguirà, incredibilmente, con un ulteriore periodo di commissariamento delle ex Province? Semplice: perché i 90 califfi di Sala d’Ercole si sono incartati. Hanno scoperto che la legge Delrio mantiene intatti i confini delle vecchie Province, mentre in Sicilia, con la legge regionale rimasta a metà (quella approvata all’inizio di quest’anno che ha cassato Presidenti e Consigli provinciali), sono stati introdotti i Consorzi di Comuni che cambiano i confini delle ex Province. Se ne deduce che il recepimento della legge Delrio sarà meno semplice del previsto.

Ma c’è di più. A Roma si profila la riforma della Costituzione. Con la definitiva abolizione delle Province. Il risultato è che da Reggio Calabria in su, a riforma costituzionale approvata, ci saranno Stato, Regioni e Comuni. Mentre in Sicilia, oltre a Stato, Regione e Comuni, rimarrebbero pure le ex Province, chiamate Consorzi di Comuni, che nel resto d’Italia non ci sarebbero. 

Detto in parole più semplici, senza eventuali norme di salvaguardia, la riforma della Costituzione rischia di travolgere l’articolo 15 dello Statuto autonomistico siciliano, quello che prevede i Liberi Consorzi di Comuni. Dunque tutto il dibattito – a tratti, in verità, un po’ surreale – andato in scena in questi mesi, con i Sindaci che lamentavano la mancanza di soldi per far celebrare i referendum e tutto il resto, andrebbe a fari benedire. 

Cosicché i nostri eroi dell’Ars non sanno cosa fare. Sembrano più confusi che persuasi. Anche perché sanno che a Matteo Renzi tutto si può dire: si può non essere d’accordo con lui, si possono contestare le sue scelte, ma nessuno può negare – se non altro perché parlano i fatti – che il capo del Governo viaggi come un rullo compressore. Insomma a Roma la riforma della Costituzione, piaccia o no, la faranno. E la Regione siciliana dovrebbe capire cosa fare per non restare impantanata e con l’Autonomia ulteriormente ferita. 


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