In manette Giovanni Pruiti, originario del Comune in provincia di Messina e fratello dell'ergastolano Giuseppe, e Salvatore Catania. Secondo gli inquirenti sarebbero i referenti della famiglia catanese di Cosa nostra sui Nebrodi. Del brontese il pentito etneo Santo La Causa ha detto: «Tra i più seri che ho conosciuto»
Arrestati i presunti reggenti di Cesarò e Bronte Inferto duro colpo alla mafia rurale dei Nebrodi
I presunti reggenti mafiosi nei territori di Cesarò e Bronte sono finiti in manette nelle ultime ore con l’accusa di associazione mafiosa, durante un’operazione dei carabinieri di Catania. I nomi caldi dell’inchiesta, che riguarderebbe circa nove persone, sono quelli di Giovanni Pruiti, fratello dell’ergastolano Giuseppe condannato per associazione mafiosa e omicidio, e di Salvatore Catania conosciuto con l’appellativo di Turi. Secondo gli inquirenti i due sarebbero riconducibili alla mafia rurale dei Nebrodi, recentemente definita dal procuratore generale di Messina Guido Lo Forte come «una delle organizzazioni criminali più antiche e pericolose». A diverse aziende riconducibili alla famiglia Pruiti – che gestisce anche una macelleria nel centro del Comune in provincia di Messina – sono stati ritirati i terreni nel parco dei Nebrodi, in passato dati loro in concessione e grazie ai quali hanno ottenuto ricche sovvenzioni dall’Unione europea.
Pruiti era stato intervistato anche durante uno speciale del programma televisivo Le Iene sulla mafia rurale siciliana. E aveva negato ogni accusa: «Io reggente della mafia? Semmai della mafia della fame». L’uomo subito dopo mostrava le mani alla telecamera, a suo dire scalfite dal duro lavoro nei campi, per poi spiegare: «Noi in queste cose non c’entriamo niente. Mi dispiace per tutto questo burdellu che è successo». Riferimento a Giuseppe Antoci, presidente del parco dei Nebrodi dal 2013, che il 18 maggio 2016 è rimasto vittima di un attentato lungo la strada provinciale che collega Cesarò a San Fratello. L’obiettivo dei sicari è rimasto illeso grazie all’auto blindata, colpita da numerosi colpi di pistola, e all’intervento della sua scorta. «Stanno facendo tutta una cosa di politica – proseguiva a distanza di mesi Pruiti davanti la telecamera – Secondo me è tutto imbrogliato, è tutta politica».
Un ritratto differente è quello che riguarda Salvatore Catania. Il presunto boss di Bronte è una vecchia conoscenza degli uffici giudiziari etnei per i suoi violenti contrasti in paese con il rivale Francesco Montagno Bozzone del clan dei Mazzei. L’ultima indagine in cui emerge il nome di Catania è Iblis, la stessa che ha portato a processo l’ex presidente della Regione Raffaele Lombardo. Il presunto boss avrebbe avuto in passato contatti diretti con Enzo Aiello, oggi detenuto al 41bis e condannato all’ergastolo per il duplice omicidio di Angelo Santapaola e Nicola Sedici, ma un tempo ritenuto il responsabile della famiglia di Cosa nostra dei Santapaola-Ercolano per la provincia etnea. Il 10 luglio 2007 gli investigatori documentano un summit a cui partecipano diversi personaggi di spicco della mafia locale, e tra questi c’è pure l’uomo originario di Bronte. Su di lui si è espresso il collaboratore di giustizia Santo La Causa, durante il processo scaturito dall’operazione antimafia Gatto selvaggio. «È una delle pochissime persone serie che ho mai conosciuto», diceva l’ex reggente. Catania è stato coinvolto anche nell’operazione Padrini del 2008.