Nessun procedimento sarà avviato nei confronti di Sea Watch e di Golfo Azzurro. La prima inchiesta era partita dopo la denuncia di alcuni migranti che avevano visto degli europei tranciare i cavi di avviamento dei motori, mentre la seconda perché la nave di Proactiva Open Arms aveva preferito i porti siciliani a quelli maltesi, più vicini
Archiviate due inchieste penali a carico di Ong «Non c’è prova di collaborazione con trafficanti»
Non c’è nessuna prova che la Ong Sea Watch e la nave Golfo Azzurro della flotta di un’altra Ong, Proactiva Open Arms, abbiano collaborato con i trafficanti libici. Con queste motivazioni la Procura di Palermo ha chiesto e ottenuto dal gip l’archiviazione di due procedimenti penali a carico delle associazioni umanitarie, accusate entrambe di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina. Una scelta, quella degli inquirenti del capoluogo, in contrasto con la linea seguita dai colleghi catanesi che hanno ipotizzato proprio a carico di Ong Open Arms lo stesso reato.
L’inchiesta archiviata, condotta dal procuratore aggiunto Marzia Sabella e dai pm Gery Ferrara e Claudio Camilleri, nasceva da due diversi procedimenti penali: uno avviato a maggio del 2017 dopo lo sbarco a Lampedusa di 220 migranti salvati dalla Golfo Azzurro; l’altro aperto dopo una segnalazione della Guardia di Finanza che ipotizzava delle incongruenze nel comportamento della Sea Watch in occasione del soccorso portato, ad aprile del 2017, a un’imbarcazione in avaria.
Il primo caso scoppia quando, sentiti dalla polizia, i profughi raccontano di essere stati raggiunti, durante la traversata, da imbarcazioni con a bordo alcuni europei che avrebbero tranciato i cavi di avviamento dei motori. Successivamente sarebbe arrivati libici per recuperare i motori dei gommoni. «Alla luce delle indagini svolte, non si ravvisano elementi concreti che portano a ritenere alcuna connessione tra i soggetti intervenuti nel corso delle operazioni di salvataggio a bordo delle navi delle Ong e i trafficanti operanti sul territorio libico. – scrivono i pm – Le indagini svolte, invero, non hanno permesso di appurare la commissione di condotte penalmente rilevanti da parte del personale Ong». «In particolare, – spiegano – non è emersa la prova che i soggetti che materialmente tranciarono i motori fuori dei gommoni con a bordo i migranti facevano parte della Ong».
La seconda indagine parte quando la guardia di finanza denuncia il sospetto che la Sea Watch avesse deciso di dirigersi verso le coste italiane anziché verso quelle maltesi, teoricamente più vicine alla zona di salvataggio. Una scelta che, per le fiamme gialle, sarebbe stata in contrasto con le esigenze di sicurezza dei profughi. Per i pm palermitani, che nella richiesta di archiviazione accolta dal gip hanno analizzato la normativa internazionale in materia di soccorsi, non ci sarebbero profili di reato. «Secondo quanto previsto dalla Convenzione Sar siglata ad Amburgo nel 1979, le operazioni di soccorso non si esauriscono nel mero recupero in mare dei migranti, ma devono completarsi e concludersi con lo sbarco in un luogo sicuro: secondo la risoluzione 1821 dell’Assemblea parlamentare del Consiglio d’Europa la nozione di luogo sicuro comprende necessariamente il rispetto dei diritti fondamentali delle persone soccorse», scrivono i magistrati. I pm sottolineano poi «l’assoluta mancanza di cooperazione dello Stato di Malta nella gestione degli eventi Sar».
«Il porto più vicino – aggiungono – non dovrà individuarsi esclusivamente avuto riguardo alla posizione geografica, ma dovrà invece essere, necessariamente, quello che assicurerà il rispetto dei predetti diritti». «Quindi, – concludono – non deve stupire che la Sea Watch abbia preferito effettuare lo sbarco verso le coste italiane: ciò anzi rappresenta conseguenza logica di quanto appena esposto e una corretta gestione delle operazioni di salvataggio».