Appello trattativa, accusa d’accordo a sentire Berlusconi «Occasione per chiedergli se fu minacciato da Cosa nostra»

«Magari non vorrà nemmeno rispondere, ma intanto sarebbe giusto sentirlo in quanto parte offesa». È il motivo principale che ha spinto il procuratore generale a non rigettare ma, al contrario, ad associarsi alla richiesta avanzata nelle scorse settimane dalla difesa di Marcello Dell’Utri. Quella, cioè, di sentire come testimone l’ex premier Silvio Berlusconi. «Sarà l’occasione per chiedergli se fu davvero minacciato da Cosa nostra», sottolinea il pg Giuseppe Fici, che si è pronunciato nel corso dell’udienza di questa mattina nell’ambito del processo di appello sulla presunta trattativa fra Stato e mafia. Ascoltarlo in quanto «vittima» della minaccia stragista esercitata da Cosa nostra nei confronti delle istituzioni, per il tramite dell’ex senatore Dell’Utri, condannato a 12 anni in primo grado nell’ambito dello stesso processo. Tuttavia, il leader di Forza Italia non è mai stato ascoltato in nessuna aula di tribunale, né in alcuna altra fase investigativa. Qualora la corte accolga la richiesta, potrebbe essere anche l’occasione ideale per chiedere al Cavaliere chiarimenti anche su altre circostanze che lo tirano direttamente in ballo. 

Una fra tutte, quella del presunto incontro faccia a faccia che ci sarebbe stato tra lui e Giuseppe Graviano. Circostanza che l’ex boss di Brancaccio avrebbe in seguito rivelato, nel 1995, a Matteo Messina Denaro, che l’avrebbe poi raccontata a sua volta al pentito Giovanni Brusca, rimasto particolarmente colpito da un dettaglio di quell’episodio: il fatto che, per il resoconto di Graviano stesso, Berlusconi in quell’occasione avrebbe sfoggiato al polso un orologio di particolare valore. Quello dell’ex premier è un nome che ritorna spesso proprio nelle conversazioni tra Graviano e un altro detenuto, con cui condivideva le passeggiate durante l’ora d’aria, Umberto Adinolfi. Conversazioni che il pg adesso chiede di trascrivere e far entrare a processo. Specie quelle in cui l’ex boss racconta di un trattamento di favore dopo l’arresto nel ’94 e delle confidenze riguardanti il concepimento del figlio, avvenuto con buona probabilità mentre lui si trovava già in regime di 41 bis.

«Certo non potevo dirgli la verità». Parlava così, intercettato, Giuseppe Graviano durante un colloquio con la moglie. È il 23 aprile 2016 quando le spiega di aver mentito agli inquirenti: «Ho detto loro che il mio rapporto sessuale risaliva a quando ero ancora latitante, di certo non potevo dirgli la verità», insisteva. «Otto mesi che non l’ho fatta venire a colloquio e non le scrivevo, mia madre si stava buttando dal balcone. Finché le ho scritto “fai le cose che ci sposiamo” – confidava poi al compagno di carcere – Le ho detto che per me poteva organizzare, “però mi devi dare delle date…che io posso muovermi”». Un fatto gravissimo che, secondo già in passato per il sostituto procuratore Nino Di Matteo testimonierebbe la genuinità sull’inconsapevolezza di Graviano di essere intercettato. «Malgrado da alcune conversazioni si intuisca che i due avessero qualche sospetto di essere intercettati, ci sono tuttavia momenti in cui alcune informazioni, per tutta una serie di contingenze, possono comunque sfuggire loro – spiega oggi il pg -. Il giudice di primo grado ne è consapevole: siamo di fronte a momenti particolari per l’abbassamento della voce e l’oggetto dei temi trattati che fanno pensare che alcune confidenze prescindano questo loro timore di essere intercettati».

«Riteniamo doveroso approfondire alcuni aspetti relativi alla detenzione dei fratelli Graviano», ribadisce il procuratore generale, chiedendo di acquisire intercettazioni nel carcere di San Vittore avvenute il 19 e 20 maggio ’94 dei due fratelli coi rispettivi legali,e altri invece con famigliari e parenti. Oltre a sette documenti del Dap che avrebbero fornito ulteriori spunti investigativi e alla documentazione dell’ufficio legislativo del ministero per l’acquisizione di più idonei elementi sulle iniziative di natura parlamentare che di interlocuzione ministeriale del primo governo Berlusconi. Per il pg, inoltre, sarebbe utile riprendere anche il filone mafia-appalti che, secondo lui, «non è vero che venne frettolosamente archiviato a nemmeno un mese dalla strage di via d’Amelio. L’archiviazione, che era stata chiesta il 13 luglio ’92, riguarda esclusivamente alcuni soggetti politici, non tutti». 


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