Dopo qualche mese di volontariato in Kenya e un anno da serviziocivilista in Tanzania, la scordiense Antonella Leggio ha deciso di continuare a vivere e lavorare in Africa per conto di un'associazione di volontariato siciliana. Tra difficoltà, soddisfazioni e un rapporto diverso con lo scorrere del tempo
Antonella, da Scordia a cooperante in Africa «Qui non si impazzisce dietro all’orologio»
Ha ventisei anni, viene da Scordia, ha studiato a Catania e ora vive in Africa. In Tanzania, per la precisone. Antonella Leggio, dopo una triennale in Scienze politche e una prima, fondamentale esperienza di volontariato in Kenya, ha fatto una coraggiosa scelta di vita decidendo di partire per l’Africa e rimanerci a lavorare: «Subito dopo la laurea, nel 2014, sono andata in Kenya per fare un’esperienza di volontariato di tre mesi. È stato il mio primissimo contatto con l’Africa», racconta Antonella.
Si è trovata a vivere in un contesto in cui tutto era organizzato secondo usi e abitudini locali, «dal cibo all’alloggio, in modo totalmente diverso dal nostro: si usa il bagno rurale, si dorme sul pavimento, si prepara il cibo con cucina a legna. Come prima esperienza è stata di forte impatto e, nonostante tutto, sono riuscita ad adattarmi subito». A circa un anno di distanza dalla prima volta, Antonella partecipa al bando di selezione per il Servizio Civile con l’organizzazione non governativa catanese Cope – Cooperazione Paesi emergenti, rinunciando agli studi della specialistica: «Ho scelto di fare il Servizio Civile all’estero perché ritengo sia un’ottima opportunità per fare esperienza sul campo, ha la durata di un anno, è retribuito, ma soprattutto permette di entrare nel mondo del lavoro: a livello professionale ho imparato tantissimo». E supera dubbi ed esitazioni relativi agli studi universitari «per paura di “perdere tempo”, perché avrei dovuto terminare la specialistica prima. Il sistema ci impone: triennale, specialistica, master, stage e poi – forse – lavoro. Ma ho voluto un po’ uscire dagli schemi ed è andata bene».
Pur essendo già stata in Africa per volontariato, il contesto della cooperazione internazionale era nuovo per Antonella: «Avevo un’idea molto astratta della cooperazione e non conoscevo nessuno che lavorasse in questo settore con cui potermi confrontare. È stato un appuntamento al buio». La scelta dell’impegno in Tanzania è ricaduta su un progetto di empowerment femminile portato avanti ormai da anni dal Cope: «Mkomanile Craft è una cooperativa di donne che producono articoli manifatturieri come borse, vestiti, accessori, articoli per la casa» con modalità di produzione ecosostenibili, utilizzando stoffe tipiche locali e materiale ricilclato, seguendo le linee guida di un progetto ideato in Sicilia e realizzato in Tanzania. «Io mi occupavo sia di marketing che di sensibilizzazione: lavoravo a contatto con gli acquirenti e alla gestione degli ordini e organizzavo seminari sulla prevenzione delle malattie sessualmente trasmissibili oppure attività di cineforum su tematiche delicate come la violenza domestica. È stato un anno gratificante, abbiamo raggiunto degli ottimi risultati».
Poi, l’inaspettato arrivo di una proposta lavorativa con la stessa organizzazione di volontariato: «Il Cope mi ha chiesto se fossi interessata a lavorare come responsabile di un altro progetto, sempre in Tanzania: in un primo momento avevo paura di non riuscire a reggere un altro anno o di non essere all’altezza del compito, ma ho comunque deciso di accettare e mettermi alla prova». E dopo un breve ritorno in Sicilia, Antonella ha fatto nuovamente le valigie per stabilirsi a Songea, nel sud della Tanzania, dove gestisce un centro di formazione in agricoltura e allevamento. «Mi occupo sia di alcuni aspetti della didattica sia della parte produttiva. Il centro possiede infatti un orto e degli animali, che costituiscono anche un’entrata insieme alle tasse che gli studenti pagano annualmente. L’obiettivo – prosegue Antonella – è quello di rendere il centro sostenibile aumentando le entrate attraverso l’incremento della produzione e l’aumento del numero degli studenti che ogni anno vi si iscrivono».
Quanto ai pro e ai contro del condurre una vita da expath in Africa, Antonella ha le idee chiare sulle difficoltà affrontate quotidianamente, tra barriere linguistiche e mancanza di connessione a internet: «In villaggio tutti parlano Kiswahili, non è difficile da imparare, ma non nascondo di aver avuto difficoltà. Poi c’è la mancanza di connessione a internet: aprire una pagina web è impossibile, Whatsapp funziona a stento, quindi anche solo per inviare una mail o aggiornarmi su cosa succede nel mondo devo approfittarne quando vado in città, un paio di volte a settimana. Nel villaggio manca inoltre l’elettricità: abbiamo i pannelli solari e in assenza di sole, le ore in cui puoi caricare un pc si riducono».
Tutte difficoltà sopportabili, secondo la cooperante siciliana, che confessa però di sentire la forte nostalgia del mare siciliano: «La cosa che più mi manca è il mare, qui mi trovo a sedici ore di viaggio dalla costa più vicina. Invece tra le cose che più mi piacciono del luogo in cui vivo, c’è la concezione che gli africani hanno del tempo, totalmente diversa dalla nostra. Un loro proverbio recita «Voi europei avete gli orologi e noi abbiamo il tempo»: arrivare con mezz’ora di ritardo qui è normale e non puoi mica arrabbiarti se hai aspettato così tanto tempo; se si aspetta per un’ora la partenza di un bus è normale, perché qui alcuni mezzi partono solo quando si riempiono. E quando sali su un autobus non sai mai quando arriverai perché dipende dalle fermate, che non sono predefinite. Questo fa parte del gioco di vivere qui: non si impazzisce dietro a un orologio – spiega Antonella – e anche per questo mi piace il mio lavoro, mi relaziono continuamente con gli abitanti del posto e con una cultura che non finisce mai di stupirmi».