Era il 16 giugno del 1979. Pippo Baudo teneva a battesimo quello che per anni è stato il principale canale televisivo siciliano in termini di ascolti. Trentasei anni dopo il gruppo Ciancio annuncia l’avvio della procedura di mobilità per 16 dipendenti su 23, scelta che equivale alla chiusura di Antenna Sicilia. La notizia è arrivata due giorni fa, «hanno indetto una riunione l’altro ieri, siamo stati convocati per comunicazioni importanti», racconta Flaminia Belfiore, giornalista storica della testata. «Ci hanno detto che le soluzioni prese in questi sei mesi non hanno dato i frutti sperati, quindi siamo fuori. Solo che non ci aspettavamo che a pagare, per il momento, saremmo stati solo noi». Così come i 17 tecnici licenziati dall’emittente Telecolor – sempre del gruppo Ciancio – il primo giugno.
Le motivazioni sono racchiuse in una lettera consegnata ai 16 esuberi. «Si è deciso il netto ridimensionamento dell’attività di fornitore di contenuti con la soppressione di tutte le produzioni di programmi informativi, che rappresentano il centro di costo maggiore dell’attività – si legge nel documento – per mantenere esclusivamente l’offerta di televendite e di quei programmi commerciali il cui budget e la cui redditività siano state preventivamente assicurate dai committenti». Via i telegiornali, gli approfondimenti e anche lo storico programma Insieme. Spazio solo per telepromozioni e qualche replica, il minimo indispensabile a garantire la presenza tra i canali assegnatari di frequenza. Secondo i dati diffusi dalla proprietà i ricavi sono passati da sette milioni 700mila euro nel 2010 a quattro milioni e mezzo nel 2012, calo determinato dal progressivo azzeramento dei contributi regionali nello stesso periodo. Secondo le stime, i bilanci si assottiglieranno fino a toccare i tre milioni 700mila euro previsti per quest’anno.
Più o meno ufficialmente si attribuisce la crisi dell’impero messo in piedi da Mario Ciancio Sanfilippo anche a una stanchezza legata alle vicende giudiziarie dell’imprenditore e all’eventuale processo per concorso esterno alla mafia. Ma la situazione negli uffici di viale Odorico da Pordenone è tesa da mesi. E nemmeno il contratto di rete – una soluzione che ha unificato i dipendenti che lavoravano ad Antenna Sicilia, Telecolor e La Sicilia multimedia – è servita a migliorare i conti.
«Annientato anche il settore tecnico», spiegano a una voce i dipendenti. «Abbiamo ricevuto la stessa lettera, dove spiegano che hanno mantenuto il minimo indispensabile per i servizi esterni». Nessuna speranza in una soluzione alternativa, la strada sembra tracciata: «Hanno annientato Antenna Sicilia». Difficile che la proprietà opti per la cassa integrazione, impossibile sperare nella cassa in deroga che dipende dalle disponibilità economiche della Regione. E così i ritardi nei pagamenti sono diventati una costante. «Lo stipendio di aprile è stato saldato la settimana scorsa», precisa la giornalista.
«La sensazione è che si sia navigato a vista – racconta Belfiore – Sono stati sei mesi stressanti». Cambi di orari, edizioni di telegiornali soppresse, stravolgimenti nelle modalità di lavoro. E poi l’unificazione con quello che era il diretto concorrente, il tg di Telecolor, sul quale lo spettro della crisi aleggia da anni. «Ci hanno detto: “Da oggi lavorerete assieme”. Ma non abbiamo colto il senso di questa unificazione». Poche settimane fa il contrordine: Telecolor cambia ancora una volta ufficio, «ma era un telegiornale uguale da due sedi diverse». Tutti segni, secondo la giornalista, di «una mancanza di una gestione imprenditoriale chiara. Come mai non ci si rendeva conto che la locomotiva stava andando a sbattere contro il muro?», si chiede.
«Io, in fondo, sono anche vicina alla pensione – riflette Flaminia Belfiore – È come vedere un malato terminale, è finito l’incubo». Difficile capire quale sarà la sorte dei compagni di lavoro più giovani. «Sono affranta per loro – afferma – È gente che si è appena sposata, che vorrebbe avere figli. Persone segate nel bel mezzo della loro vita professionale. Non pagano i manager, non pagano i direttori. Pagano i miei colleghi». E conclude: «Non c’è un futuro per i giornalisti in questa città».
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