Anis Amri, l’uomo ritenuto il responsabile della strage al mercatino di Natale a Berlino, e ucciso ieri a Sesto San Giovanni nel tentativo di sfuggire all’arresto, era già stato protagonista di gravi violenze quando si trovava in Sicilia. Precisamente la sera del 22 ottobre del 2011, all’interno della struttura di accoglienza per minori gestita dalla Fondazione Giovanna Romeo Sava onlus, che ha sede a Belpasso in via III Retta Levante. Quella sera Amri, che avrebbe dichiarato un’età anagrafica inferiore ed era ospite della struttura assieme ad altri giovani minori tunisini, inscenò una protesta per le condizioni del vitto e dell’alloggio. I giovani stranieri bruciano dei materassi, le fiamme danneggiano l’edificio, e «il custode che ha provato a fermare l’azione è stato malmenato e poi curato dell’ospedale di Paternò, dove fu giudicato guaribile in sette giorni. Anis Amri è stato arrestato il giorno dopo insieme ad altri due ragazzi», raccontano dalla Fondazione.
«Quei mesi purtroppo oggi tornano alla nostra memoria rievocati dalla tragica strage di Berlino – hanno scritto i vertici della Fondazione attraverso la divulgazione di una nota stampa -. Dal 23 dicembre del 2011 nessun minore straniero è stato più collocato nella nostra comunità. Le condizioni della struttura, gravemente danneggiata dall’incendio divampato nelle stanze proprio la notte del 22 ottobre, non consentivano di offrire più accoglienza ad altri minori extracomunitari e la fondazione si è trovata costretta e rifiutare ulteriori ricoveri».
«Anis Amri – si legge nella nota – era un giovane tunisino che per un breve periodo abbiamo accolto nella nostra comunità per minori assieme ad altri sette, tutti di nazionalità tunisina, dichiaratisi minori stranieri non accompagnati, in forza di collocamento disposto dalla questura di Agrigento in data 7 aprile 2011. Nella situazione di emergenza che si presentava allora, con grande senso di responsabilità, ispirato da sincero sentimento di carità verso i più deboli, nel rispetto della volontà dei fondatori, la Fondazione Giovanna Romeo Sava non si è sottratta al dovere di accoglienza cui veniva chiamata». I giovani tunisini erano arrivati in Italia dopo lo sbarco a Lampedusa.
«Nonostante gli sforzi compiuti da tutta la struttura che si è mobilitata per fronteggiare l’emergenza – specificano a Meridionews dalla Fondazione Sava -, rivendicavano esigenze che la nostra comunità non poteva soddisfare. Dopo pochi giorni dall’arrivo, alcuni di loro si allontanarono dalla comunità e si resero irreperibili. Per gli altri cinque rimasti, la permanenza in comunità si concluse dopo pochi mesi a seguito dei fatti di eccezionale gravità diquei giorni. Dal 23 ottobre tre di loro, tra cui Anis Amri, furono tratti in arresto e non ebbero modo di fare ritorno nella comunità. Gli altri due, che risultarono effettivamente essere minorenni, rientrarono nella nostra comunità per un brevissimo periodo ancora, prima di essere trasferiti altrove».
Allo stato attuale la comunità ospita 22 minori tutti italiani. I danni alla struttura provocati dall’incendio sono stati sistemati grazie all’assicurazione a cui la Fondazione era legata, senza ricevere alcun risarcimento dalla Stato. «La nostra comunità tutta partecipa commossa al dolore delle vittime di quest’ultima strage, dei loro familiari, di tutti quanti sono stati in qualche modo travolti dalla terribile e violenta barbarie che nel mondo colpisce soprattutto i più deboli», conclude la nota della Fondazione Sava.
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