L'ultima speranza per il cantante neomelodico viene da Roma. I suoi avvocati hanno deciso di rivolgersi ai giudici ermellini per chiedere che il giovane possa uscire dal penitenziario di Bicocca, per attendere il processo da uomo libero e non da detenuto
Andrea Zeta, ricorso in Cassazione per scarcerazione «Tempi lunghi, ma speriamo che a Roma ci ascoltino»
L’ultima speranza viene da Roma. Gli avvocati che difendono Andrea Zeta (Filippo Zuccaro, secondo la carta d’identità) fanno ricorso alla Corte di Cassazione per chiedere la scarcerazione del cantante neomelodico. Il giovane si trova nel penitenziario di Bicocca dalla fine di marzo, quando è stato arrestato nel blitz che da lui prende il nome. L’accusa è gravissima: associazione mafiosa. Secondo la procura, lui e il fratello Rosario avrebbero controllato gli affari della famiglia Santapaola-Ercolano facendo le veci del padre, il sanguinario boss Maurizio, ergastolano e detenuto nel carcere di Milano-Opera. Il giudice per le indagini preliminari prima e il tribunale del Riesame poi avevano stabilito la correttezza della misura cautelare e deciso di mantenere in carcere Andrea Zeta. Motivo per il quale la strada tentata dalla difesa è l’ultima possibile: i giudici di Roma, chiamati a valutare le motivazioni di diritto e non di merito. In altri termini: decideranno non su valutazioni attinenti l’accusa, ma sulla necessità dell’applicazione delle misure cautelari.
Il ricorso in Cassazione è già partito, ma l’udienza nel corso della quale verrà discusso non è ancora stata fissata. «Le motivazioni del Riesame – spiega il legale Salvo Centorbi, che assiste Zeta – ricalcano l’interpretazione delle richieste della procura fatta dal gip. Ma noi riteniamo di essere nel giusto, e che non ci fossero sufficienti motivi per decidere prima e confermare poi la custodia in carcere. I tempi a questo punto si fanno più lunghi, ma speriamo che a Roma ci ascoltino». L’obiettivo è che il cantante possa attendere il processo da uomo libero e non da detenuto. La tesi della difesa non è mai cambiata: i colloqui in carcere che, secondo la procura, incastrano il giovane Filippo altro non sono che il frutto di un normale rapporto tra padre e figlio. In cui il padre domanda della vita fuori dal carcere, e il figlio lo aggiorna, includendo anche gli screzi con il fratello maggiore.
Al centro dell’indagine dei magistrati etnei c’è l’affare Ecs dogana club. La discoteca all’interno della Vecchia dogana sarebbe stata oggetto di una doppia attenzione della malavita: da un lato il clan Cappello capeggiato da Massimiliano Salvo e dall’altro la famiglia Santapaola-Ercolano nelle vesti, in particolare, di Maurizio Zuccaro. La tensione tra le due cosche avrebbe cominciato a salire quando Zuccaro avrebbe tentato di imporre la sicurezza nella struttura, nonostante quest’ultima fosse già taglieggiata dai Cappello. Per dirimere la questione, nel lontano 2016, si sarebbe tenuto un vero e proprio summit: Salvo da una parte e Zuccaro dall’altra per contendersi il locale. Ad aleggiare sull’intera questione sarebbe stata la figura di Maurizio Zuccaro. Boss nei confronti del quale anche il clan avverso avrebbe provato «rispetto».