Una figura poco conosciuta, la cui storia però merita di essere raccontata. Per la nuova rubrica di MeridioNews - I posti del cuore - a farlo è la presidente delle guide turistiche di Catania Giusy Belfiore
Andrea Riggio, il vescovo più intransigente di Catania
Oggi voglio raccontarvi la storia di un personaggio sconosciuto ai più: monsignore Andrea Riggio. È il 22 aprile 1693 quando Riggio, rientrato a Catania, trova solo ottomila abitanti superstiti su una popolazione di circa 22mila cittadini. E, da subito, si impegna nella ricostruzione della cattedrale e della Curia vescovile che erano state abbattute tre mesi prima dal terremoto.
Divenuto vescovo, Riggio si dedica alla ricostruzione del patrimonio architettonico ecclesiastico, ottenendo da Roma l’autorizzazione a utilizzare i frutti di legati, donazioni, cappellani e degli istituti distrutti, per reperire i fondi necessari. Spesso si scontra con le autorità civili della città. Con l’apertura della strada Uzeda – oggi via Etnea – il vescovo pensa di edificare il nuovo seminario sulle vecchie mura cittadine, trovando però la ferma opposizione del Senato catanese che proibiva di costruire edifici privati sul perimetro murario cittadino.
Alla sua forte personalità e al suo impegno per fare prevalere il diritto della Chiesa su quello dello Stato dobbiamo anche la ricostruzione del monastero di clausura di San Benedetto. Anche questo motivo di scontro con il Senato cittadino, dopo la richiesta di unire le due parti del terreno – diviso dal passaggio della via Crociferi – con un ponte, per utilizzare tutta la superficie dell’edificio pre-terremoto. Nonostante il progetto della costruzione di questo arco fosse stato bandito dai giudici del Real Patrimonio, il vescovo Riggio dà il via all’opera, minacciando di scomunicare chiunque l’avesse contrastato. È solo dopo un ennesimo ricorso che ottiene una sentenza favorevole.
La genesi dei conflitti tra Riggio e il senato Catanese è insita nella storia delle relazioni tra la Chiesa di Roma e i regnanti in Sicilia. Fu papa Urbano II a conferire al conte Ruggero il Normanno il potere esclusivo della Legazia Apostolica in Sicilia, riconoscendogli l’autorità ecclesiastica di un imperatore bizantino e donando a lui e ai suoi successori il diritto di giurisdizione sulle cose ecclesiastiche attraverso il tribunale della Regia Monarchia. Con la doppia potestà – temporale e spirituale – il sovrano nominava e destituiva i vescovi, indossava l’anello e portava il pastorale. Ruggero, unendo il potere civile e religioso, diviene una sorta di antipapa.
Varie volte la Curia Romana prova, invano, a negare l’autenticità della bolla pontificia, cercando di limitarne l’interpretazione. Intanto, nasce in Sicilia una scuola giuridica che considera l’atto pontificio un contratto giuridico rescindibile solo con il pieno consenso delle due parti: la Chiesa e lo Stato. Fra la fine del ‘600 e gli inizi del ‘700 il clima è rovente per la pubblicazione di un saggio in cui il cardinale Cesare Baronio mette in discussione l’autenticità della bolla di papa Urbano negando, quindi, la validità giuridica del tribunale della Regia Monarchia.
Monsignor Andrea Riggio diventa il capo indiscusso dei vescovi intransigenti. È lui, ancora una volta, a porsi in contrasto con lo Stato, mentre il governo della diocesi era condizionato dalla fiera difesa delle immunità ecclesiastiche. Il suo ministero episcopale è un continuo conflitto con i poteri dello Stato e, in particolare, con la società catanese che gli fu ostile fino al giorno del suo esilio. Il viceré lo espelle dal Regno di Sicilia insieme ai vescovi di Girgenti e Mazzara. Prima di lasciare le loro sedi, i tre vescovi decretano l’interdetto sulle loro diocesi e comminano una raffica di scomuniche contro giudici e funzionari dello Stato, creando un grave scompiglio. Molti religiosi, infatti, continuano a celebrare i sacri riti nelle diocesi interdette – dove nascite, matrimoni e morti non avevano più sacramenti – mentre altri solidarizzano con i vescovi esiliati rifiutandosi di celebrare e subendo l’esilio.
Dopo la sua espulsione dal Regno, Riggio si rifugia a Roma presso la Curia Apostolica e continua a esercitare un’azione provocatoria contro la Legazia Apostolica in Sicilia, esprimendo il suo parere e confutando le tesi regie con memoriali infuocati e accurati studi giuridici, fino a spingere il papa Clemente XI a dichiarare estinta la Legazia Apostolica di Sicilia con la bolla del 20 febbraio 1715. Riggio è stato, inoltre, prelato domestico del pontefice e patriarca latino di Costantinopoli. Muore, il 15 dicembre del 1717 (a 57 anni), colpito da un’emorragia cerebrale, con il desiderio di tornare nella sua Catania. La sua salma rientra in città il 30 aprile del 1727 e viene sepolta nel mausoleo che aveva fatto allestire nella cappella di Sant’Agata in Cattedrale.