Anche in Sicilia il reddito di sostegno per chi non ce la fa

Li chiameremo solo con delle lettere maiuscole. Le loro sono storie straordinarie e drammatiche. Uomini e donne che combattono ogni giorno, ragazzi e ragazze che navigano nel mare ostile dei sogni infranti.

G aveva poco più di 50 anni, senza lavoro da 6 mesi. Le cartelle esattoriali lo perseguitavano. Non aveva rinnovato l’assicurazione dell’auto, aveva preso un’altra multa. Lo scoramento ha vinto sui suoi sogni e ha deciso di spegnere la luce e fuggire dalla vita.

Si era alzato come sempre, si era rasato, aveva salutato i vicini, accompagnato la moglie e poi, come ogni mattina, il tempo era divenuto un deserto troppo vasto da attraversare. Si è lasciato penzolare dal balcone di casa sua. Come un grido, l’ultimo. Come monito, uno dei troppi che nessuno ascolta. (a sinistra, foto tratta da wakeupnews.eu)

M ha perso il lavoro. Ha due figli, un affitto da pagare, il suo datore di lavoro lo aveva assunto in nero e non percepisce l’assegno di disoccupazione. Da mesi consuma biglietti d’auto e suole delle scarpe battendo i marciapiedi della città alla ricerca di una porta che finalmente si apra.

R ed S sono una coppia. Sono andati via da Palermo in cerca di meglio. La nostalgia ha avuto il sopravvento e sono tornati indietro. L’affitto da pagare li insegue come una fiera nella foresta. La professione di lui è moneta fuori corso ai tempi della crisi. Avrebbero bisogno di sostegno, di reti di salvataggio. Invece camminano su un’asse stesa su un precipizio.

V ha 30 anni vive ancora con i suoi, è fidanzato da cinque. Progetta un matrimonio impossibile, una casa che non c’è. Consuma le giornate tra l’invio di curriculum, visite a negozi e studi professionali e fantasie infrante. Forse potrebbe anche sposarsi e vivere con i suoceri per i figli, meglio non pensarci.

A e M stanno per separarsi. Il lavoro che non c’è acutizza le incomprensioni. Per fortuna non hanno figli. Possono tornare dai rispettivi genitori. Il lavorio saltuario li fa vivere di continue rinunce e hanno detto basta. (a destra, foto trata da prcbergamo.it)

Chissà perché i Paesi più corporativi, ostili e distanti verso la propria gente sono accomunati dal debito più alto e dall’assenza della minima misura di intervento equo e solidale nei confronti di chi non ha reddito.

H ha perso il lavoro. Ha un figlio, ma non un marito. E’ triste, ma non disperata. Il sistema assistenziale del suo Paese la sostiene con 700 euro al mese e l’affitto agevolato. Pur nelle ristrettezze può resistere, cercare ancora, far mangiare suo figlio.

P ed E sono una coppia con un figlio. La crisi li ha sorpresi senza lavoro. Ma l’assegno del reddito di sostegno permette loro di non disperarsi. Stringono la cinghia, ma continuano una vita normale

In una regione del Sud Europa, ricca di sole e ingegno, ma matrigna con il suo popolo, 600 milioni di euro potrebbero fornire un reddito di sostegno a 100.000 cittadini.

Si preferisce invece sprecarli per pagare strutture elefantiache, inefficienti ed elargire mance irrisorie ad alcune migliaia di giovani. 600 milioni che si riverserebbero nel corpo dell’economia come consumi rivitalizzando un sistema al collasso invece di finire per buona parte come profitto per un circuito ristretto e privilegiato. 600 milioni che potrebbero accendere la speranza, far sapere a chi si trova nelle retrovie che non sarà abbandonato, a chi è indietro che non sarà lasciato solo.

Viviamo un tempo di rotture, si profilano scelte che saranno il segno del coraggio o della viltà, della lungimiranza o della cecità. Le tre Sicilie non di rado hanno avuto guide illuminate e coraggiose. Ma il corpo politico burocratico, professionale e parassitario li ha prima acclamati, poi blanditi infine ostacolati ed espulsi. Le tracce del loro passaggio sono in alcuni casi appena visibili, in altri cancellate e cosparse di sale come immonda eresia da non ricordare.

Se nel tempo che la storia e la speranza ha loro regalato per cambiare, ricordassero di incidere sui meccanismi profondi che compromettono lo spirito di una comunità invece di graffiare sulla superficie, forse la speranza vincerebbe, finalmente, sulla disperazione.

Non importa quanto stretto sia il passaggio,
Quanto piena di castighi la vita,
Io sono il padrone del mio destino:
Io sono il capitano della mia anima.

Henley

 

 


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