Alla ricerca di un’altra Sicilia

Le cronache di questi giorni ci restituiscono l’immagine di una Sicilia immobile, incapace di costruire la visione di un proprio modello di sviluppo che, nell’Italia più o meno federalista, costituirà la pre-condizione per la scelta di programmi e di persone che dovranno realizzarla in un arco temporale necessariamente breve.

Un modello di sviluppo definisce un destino, scelto e non subìto, fondato sull’identità storica, sociale ed economico dell’Isola. Proveremo a declinare il degrado di queste tre dimensioni in modo sintetico ed adeguato alle pagine di un giornale.

L’identità storica della Sicilia indica chiaramente che siamo terra di confine, naturalmente deputata all’integrazione di razze, culture, religioni ben oltre la semplice accoglienza. Pur essendo il primo lembo di terra europea in cui approdano cervelli, oltre che corpi disidratati, di essi non sappiamo nulla, li contiamo e li smistiamo altrove e quanti, in un modo o nell’altro rimangono, li emarginiamo tra le rovine del Centro storico di Palermo o nei villaggi ghetto di Sigonella, costringendoli all’odio e a sentimenti di rivalsa che preludono a nuove mafie identitarie, proprio come accadde per gli italiani in America all’inizio del ventesimo secolo.

L’identità sociale ci riporta il quadro di una popolazione debole, con enormi strati popolari un tempo sostenuti dall’agricoltura, ma oggi sull’orlo della fame e concentrata nelle città maggiori i cui anziani sostengono con i resto di un assistenzialismo pubblico che presto non esisterà più, i giovani disoccupati ed i loro figli. Una borghesia recente e oggi essenzialmente pubblica, fortemente dipendente dagli enti territoriali e, dunque, dalla politica. La fascia reddituale più alta di tale borghesia pubblica sosterrà, ancora per poco, i consumi ma sarà inevitabilmente colpita dalle misure previste dalla Bce per la pubblica amministrazione. La conseguenza sarà l’esodo massiccio dei grandi marchi e la forte diminuzione della grande distribuzione che oggi cala in Sicilia al ritmo di due o tre marchi l’anno.

L’identità economica è delineata dalla prevalenza del pubblico impiego (in particolare, nella Sicilia occidentale) dalle difficoltà strutturali del turismo e dell’agricoltura, settori privi di piani organici di sviluppo e preda di grandi gruppi italiani e stranieri e, soprattutto, mancanti di politiche consortili comuni da porre sotto un marchio Sicilia da vendere complessivamente nel mondo a costi competitivi. La mancanze di infrastrutture di sostegno (rete autostradale completa, aeroporti low cost , porti turistici) e l’inefficienza della pubblica amministrazione regionale completano il quadro ed escudono la Sicilia dalla prospettiva di investitori esterni e venture capital. L’analisi potrebbe continuare a lungo e siamo in attesa del prossimo ‘Rapporto’ della Fondazione Res (dicembre 2011) per un quadro più definito.

Davanti a tale scenario come si comportano i siciliani? Chi può mette in salvo in figli mandandoli a studiare e a lavorare in Europa (ma da qualche mese anche in Australia, Canada, Nuova Zelanda), magari riservandosi di raggiungerli al termine della propria attività lavorativa; chi non ha tali mezzi, vive giorno per giorno all’insegna di una marginalità crescente e con lo spettro di una vecchiaia da indigenti privi di forme elementari di assistenza pubblica.

Tale descrizione apocalittica ma reale corrisponde ad una delle più belle regioni del mondo, dotata di uno Statuto autonomistico all’avanguardia e che sulla propria carta intestata orgogliosamente si definisce “Regione Siciliana” e non semplicemente Regione Sicilia, a significare quanto di più vicino possibile ad uno Stato. Una contraddizione simile susciterebbe in ogni parte del mondo civile una rivolta condivisa da ogni ceto sociale in grado di rinnovare alla radice la classe dirigente, disperdendo le ceneri di quella attuale nel volgere di pochi mesi, come accaduto in Tunisia, Egitto, Libia. Eppure…..

Perché i siciliani non reagiscono? Perchè nonostante la morte di Piersanti Mattarella e di Pio La Torre, dopo la ‘Primavera di Palermo’, dopo le stragi di Capaci e di via D’Amelio, la retorica dell’antimafia, non è cambiato nulla ? Perché, dopo decenni di attesa che si realizzasse, attraverso l’elezione diretta del presidente della Regione, la pienezza dello Statuto, il primo di essi è oggi in galera e il secondo potrebbe andarci? Perché, se chiedete ai giovani siciliani se accetterebbero un lavoro da un imprenditore in odore di mafia o la raccomandazione di un uomo politico, i più vi risponderanno”sì”? Forse perché è questo ciò che i siciliani meritano. Nella ricerca secolare di un protettore, ieri un re, oggi un altro e poi di padrini e di nuovi padroni e, ancora domani rappresentanti ambigui e tasformisti, i siciliani hanno dimenticato cosa sia l’indignazione, la libertà, la dignità e si sono rassegnati, nel corso delle bufere che cambiavano la storia, a cercare sempre una buca sottoterra dove rifugiarsi e piangere impotenti contro l’avverso destino. Il destino dei vinti.

Fuori il mondo cambia e travolge chi non cambia con esso. Forse un giorno la Sicilia diventerà come la Florida, ma i siciliani faranno i camerieri. Serviranno decine di migliaia di tedeschi che sono stati nazisti e comunisti e, nonostante ciò, hanno saputo diventare la prima potenza europea: essi verranno non più per Goethe e per Federico II, ma perché il soggiorno sarà economico e i proprietari degli alberghi, tedeschi. Cucineranno a cena per pensionati inglesi ed americani che staranno tutto il giorno in spiaggia e la sera in discoteca, perché nessuno avrà il coraggio di mostrare loro i monumenti degradati della nostra storia. Si esibiranno per i nuovi borghesi libici o tunisini che un giorno seppero dire basta e, riconquistata la libertà ed entrati nella post modernità, comprarono poi mezza Sicilia, a prezzi stracciati. Alla richiesta di milioni di cinesi di assaggiare una caponata, risponderanno, attoniti, che non sanno cosa sia. Guideranno con orgoglio visite turistiche alla finta casa di Montalbano e non sapranno nulla del Barocco di Noto. Giunta la sera, stanchi ma soddisfatti per le mance generose, faranno anch’essi il bagno in mare e si tufferanno dalla parte emersa della Torre Pisana, diventata il più grande acquario del mondo. Finalmente scenderà la notte e, nell’avverarsi di un’antica profezia, “tutto troverà pace in un mucchietto di polvere livida”.

 

Loris Sanlorenzo

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