Alla ricerca del cambio perduto – Ottava Parte: Chi vince (Germania) e chi perde (nati non fummo per essere PIIGS)

Dopo aver visto cos’è capitato con i subprime e come questi siano stati la scintilla che ha inescato la crisi, focalizziamoci adesso sulla crisi dell’Euro. visto che le cause profonde sono da rilevare nella struttura dell’Unione Monetaria. Abbiamo già accennato a come il debito pubblico sia cresciuto a causa di un debito del settore privato causato dall’eccessivo utilizzo del credito. Come abbiamo visto molti economisti avevano avvertito i politici circa le difficoltà che l’U.M.E. avrebbe incontrato con una tal strutturazione. La crisi dell’Euro infatti ha molte caratteristiche in comune con decine di crisi valutarie susseguitesi nel secolo scorso. L’economista argentino Roberto Frenkel (conosciuto in Italia anche grazie ai lavori di Alberto Bagnai e Sergio Cesaratto)(1) partendo dal modello d’instabilità finanziaria di Hyman Minsky, ha studiato i comportamenti dei mercati finanziari nelle economie emergenti che hanno subito crisi valutarie dopo la deregolamentazione del periodo Reagan-Thatcher. L’economista, riflettendo sulla crisi argentina, ha evidenziato un comportamento simile in tutti i casi precedenti e spiega che a causa dell’agganciamento nominale del cambio e alla contemporanea deregolamentazione della circolazione dei capitali, i paesi con i fondamentali più forti inondano di liquidità i paesi più deboli. In questo modo i paesi più forti lucrano sui tassi d’interesse e allo stesso tempo le economie periferiche accedono al credito relativamente a buon mercato. In questo modo però l’economia della periferia viene drogata dall’accesso facile al credito, provocando l’innalzamento del debito estero.Il PIL all’inizio aumenta e questo crea euforia nei consumi, facendo alzare i prezzi. A questo punto i beni d’importazione diventano più convenienti anche sulle fasce basse. Ora accade che per uno schock esterno qualunque (poniamo ad esempio il caso Lehman Brothers) il centro comincia a dubitare del rimborso dei debiti della periferia. Si verifica così un “sudden stop” ovvero un deflusso dei capitali dalla periferia verso il centro; così gli spread aumentano (i paesi del centro lucreranno anche sui tassi d’interesse dei titoli di Stato) e lo Stato periferico è obbligato a ripianare le perdite delle banche e a sostenere i redditi delle imprese e delle famiglie indebitandosi sul versante pubblico. Si entra in crisi sistemica, il paese periferico non può più pagare il debito non riuscendo a piazzare i titoli governativi per la perdita di credibilità ed è costretto a sganciarsi dalla valuta di riferimento.

Ecco ad esempio come la Germania grazie alle riforme del lavoro Hartz (dal nome del consulente del governo Peter Hartz) volute dal governo del socialdemocratico Schröder, riuscì a disciplinare la classe lavoratrice contenendo domanda interna e, conseguentemente, l’inflazione. Grazie ai differenziali d’inflazione più bassi d’Europa, la prima economia dell’unione ha conseguito vantaggi competitivi sul mercato internazionale, a discapito degli altri, e migliorando la propria bilancia dei pagamenti soprattutto di parte corrente.

Fig. 1 – Differenziali d’inflazione tra paesi dell’Eurozona e Germania

Fonte: goofynomics.blogspot.it

In tutti i paesi dell’eurozona (compresa l’Italia) l’inflazione è stata in media più alta che in Germania prima dell’euro e dopo l’euro.

Fig. 2 – Saldo delle partite correnti in percentuale del PIL in Germania e P.I.I.G.S.

Fonte: data base del Fondo Monetario Internazionale

Fig. 3 – Saldo delle partite correnti, accreditamento (+) o indebitamento estero (-), in milioni di dollari in Germania e P.I.I.G.S.

Fonte: data base del Fondo Monetario Internazionale

I grafici si commentano da soli. In particolare notiamo come la Germania abbia accumulato crediti nei confronti del resto dell’Euro zona. Quindi la teoria dell’A.V.O. endogena e del conseguente aumento del commercio del 200% dello studio di Rose risulterebbe falsa. L’Euro Zona è un’area a somma zero e vi è stato uno spostamento di quote di mercato dai paesi periferici verso quelli del centro. Tale affermazione è inoltre avvalorata dal fatto che non abbiamo assistito ad un contemporaneo miglioramento del saldo commerciale della Germania nei confronti dell’area extra Euro.

Fig. 4 – Saldi commerciali della Germania in miliardi di dollari

Risulta chiaro dalla lettura della figura 4 il miglioramento dei saldi commerciali della Germania nei confronti dell’EZ. Il saldo col resto del mondo è andato peggiorando negli anni e quindi il luogo comune che la Germania rappresenti “la locomotiva d’Europa” è ormai un falso storico.

Note:
1. Leggasi al riguardo i saggi di Bagnai e Cesaratto in “Oltre l’austerità”, e-book per Micromega – 2012.


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Dopo aver visto cos'è capitato con i subprime e come questi siano stati la scintilla che ha inescato la crisi, focalizziamoci adesso sulla crisi dell’euro. Visto che le cause profonde sono da rilevare nella struttura dell’unione monetaria. Abbiamo già accennato a come il debito pubblico sia cresciuto a causa di un debito del settore privato causato dall’eccessivo utilizzo del credito. Come abbiamo visto molti economisti avevano avvertito i politici circa le difficoltà che l’u. M. E. Avrebbe incontrato con una tal strutturazione. La crisi dell’euro infatti ha molte caratteristiche in comune con decine di crisi valutarie susseguitesi nel secolo scorso. L’economista argentino roberto frenkel (conosciuto in italia anche grazie ai lavori di alberto bagnai e sergio cesaratto)(1) partendo dal modello d’instabilità finanziaria di hyman minsky, ha studiato i comportamenti dei mercati finanziari nelle economie emergenti che hanno subito crisi valutarie dopo la deregolamentazione del periodo reagan-thatcher. L’economista, riflettendo sulla crisi argentina, ha evidenziato un comportamento simile in tutti i casi precedenti e spiega che a causa dell’agganciamento nominale del cambio e alla contemporanea deregolamentazione della circolazione dei capitali, i paesi con i fondamentali più forti inondano di liquidità i paesi più deboli. In questo modo i paesi più forti lucrano sui tassi d’interesse e allo stesso tempo le economie periferiche accedono al credito relativamente a buon mercato. In questo modo però l’economia della periferia viene drogata dall’accesso facile al credito, provocando l’innalzamento del debito estero. Il pil all’inizio aumenta e questo crea euforia nei consumi, facendo alzare i prezzi. A questo punto i beni d’importazione diventano più convenienti anche sulle fasce basse. Ora accade che per uno schock esterno qualunque (poniamo ad esempio il caso lehman brothers) il centro comincia a dubitare del rimborso dei debiti della periferia. Si verifica così un “sudden stop” ovvero un deflusso dei capitali dalla periferia verso il centro; così gli spread aumentano (i paesi del centro lucreranno anche sui tassi d’interesse dei titoli di stato) e lo stato periferico è obbligato a ripianare le perdite delle banche e a sostenere i redditi delle imprese e delle famiglie indebitandosi sul versante pubblico. Si entra in crisi sistemica, il paese periferico non può più pagare il debito non riuscendo a piazzare i titoli governativi per la perdita di credibilità ed è costretto a sganciarsi dalla valuta di riferimento.

Dopo aver visto cos'è capitato con i subprime e come questi siano stati la scintilla che ha inescato la crisi, focalizziamoci adesso sulla crisi dell’euro. Visto che le cause profonde sono da rilevare nella struttura dell’unione monetaria. Abbiamo già accennato a come il debito pubblico sia cresciuto a causa di un debito del settore privato causato dall’eccessivo utilizzo del credito. Come abbiamo visto molti economisti avevano avvertito i politici circa le difficoltà che l’u. M. E. Avrebbe incontrato con una tal strutturazione. La crisi dell’euro infatti ha molte caratteristiche in comune con decine di crisi valutarie susseguitesi nel secolo scorso. L’economista argentino roberto frenkel (conosciuto in italia anche grazie ai lavori di alberto bagnai e sergio cesaratto)(1) partendo dal modello d’instabilità finanziaria di hyman minsky, ha studiato i comportamenti dei mercati finanziari nelle economie emergenti che hanno subito crisi valutarie dopo la deregolamentazione del periodo reagan-thatcher. L’economista, riflettendo sulla crisi argentina, ha evidenziato un comportamento simile in tutti i casi precedenti e spiega che a causa dell’agganciamento nominale del cambio e alla contemporanea deregolamentazione della circolazione dei capitali, i paesi con i fondamentali più forti inondano di liquidità i paesi più deboli. In questo modo i paesi più forti lucrano sui tassi d’interesse e allo stesso tempo le economie periferiche accedono al credito relativamente a buon mercato. In questo modo però l’economia della periferia viene drogata dall’accesso facile al credito, provocando l’innalzamento del debito estero. Il pil all’inizio aumenta e questo crea euforia nei consumi, facendo alzare i prezzi. A questo punto i beni d’importazione diventano più convenienti anche sulle fasce basse. Ora accade che per uno schock esterno qualunque (poniamo ad esempio il caso lehman brothers) il centro comincia a dubitare del rimborso dei debiti della periferia. Si verifica così un “sudden stop” ovvero un deflusso dei capitali dalla periferia verso il centro; così gli spread aumentano (i paesi del centro lucreranno anche sui tassi d’interesse dei titoli di stato) e lo stato periferico è obbligato a ripianare le perdite delle banche e a sostenere i redditi delle imprese e delle famiglie indebitandosi sul versante pubblico. Si entra in crisi sistemica, il paese periferico non può più pagare il debito non riuscendo a piazzare i titoli governativi per la perdita di credibilità ed è costretto a sganciarsi dalla valuta di riferimento.

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