«I nazisti nel 1943 accerchiarono allora tutte le caserme militari e intimarono agli italiani di deporre le armi e schierarsi tra le loro fila. I due siciliani decisero di non arrendersi alle milizie nazifasciste e si unirono agli sbandati della brigata Garibaldi»
Alfredo e Antonio Di Dio, partigiani palermitani Morti combattendo i nazifascisti in Val d’Ossola
In pochi sanno che sono stati tanti i siciliani che hanno preso parte alla Resistenza. Tra le tante storie vere, che ai giorni nostri hanno quasi assunto i contorni epici delle azioni leggendarie, spicca quella dei fratelli Antonio e Alfredo Di Dio. Due giovani palermitani che si distinsero in Val d’Ossola per il proprio coraggio e che lì furono uccisi dai nazifascisti. Per raccontare la loro storia si deve tornare «all’inizio degli anni ’40, quando i due, giovanissimi, si trasferirono a Modena per frequentare l’accademia militare», racconta Angelo Sicilia, autore di Testimonianze Partigiane, Navarra editore.
L’8 settembre del 1943, con l’armistizio firmato dal maresciallo Badoglio, i nazisti fecero scattare l’operazione Alarico con la quale intendevano occupare il centro-nord dell’Italia per impedire un’invasione degli Alleati nella Penisola. «I nazisti accerchiarono allora tutte le caserme militari e intimarono agli italiani di deporre le armi e schierarsi tra le loro fila. I fratelli Di Dio decisero di non arrendersi alle milizie nazifasciste – afferma Sicilia – e si unirono agli sbandati della brigata Garibaldi in Val d’Ossola». I militari che rifiutarono di schierarsi con gli uomini di Hitler e scapparono erano chiamati sbandati, in considerazione del fatto che si trovavano ormai senza guida e «la resistenza organizzata nacque anche grazie al contributo di moltissimi di questi giovani. Tanti di questi erano siciliani», racconta ancora l’autore. «Tra questi, che si sono battuti al Nord, i Di Dio si sono distinti per il coraggio dimostrato nell’affrontare i nazisti e i fascisti in una zona come la Val d’Ossola dove la loro presenza era molto radicata».
Un’altra particolarità dei due fratelli era la loro fede: «erano ferventi cattolici – racconta Sicilia – in un contesto un cui i comunisti costituivano una delle realtà meglio organizzate, questo elemento sottolinea ancora una volta che quello della Resistenza è stato un fenomeno trasversale». «I fratelli Di Dio facevano parte del distaccamento delle Brigate Fiamme Verdi, guidato dal capitano Beltrami, una delle figure leggendarie della lotta partigiana». La zona in cui operavano era presidiata dai nazifascisti perché strategica, in quanto era un passaggio diretto in Svizzera e al confine con la Francia. Proprio perché stavano mettendo i bastoni tra le ruote dei nazifascisti, questi si accanirono contro di loro e a Megolo, il 12 febbraio 1944. Tagliarono in due la linea partigiana, ci fu un’imboscata. «Nell’eccidio di Megolo – dice Sicilia – morirono, tra gli altri, Beltrami, Pajetta, Citterio e anche Antonio Di Dio, a soli 22 anni, massacrato dai nazisti». Di Dio avrebbe anche contribuito alla stesura del testo della canzone partigiana Marciam Marciam, scritta prima ancora di Bella Ciao.
Morto il fratello, con l’intenzione forse di vendicarlo, Alfredo divenne il capo della Brigata delle Fiamme Verdi della Val d’Ossola, fino a quando anche lui nel 1944 fu ucciso in battaglia, a soli 24 anni. Alla fine della guerra venne a entrambi riconosciuta la medaglia d’oro al valore militare alla memoria, due delle «26 le medaglie d’oro siciliane che vennero conferite al termine della Seconda Guerra Mondiale». A Fondo Toce adesso c’è un Museo della Resistenza dedicato ad Alfredo Di Dio.