Da ieri all'ex cinema Edison, in piazza Colajanni, si susseguono le analisi e i racconti per esaminare politiche e prassi adottare dall'Ue e dai suoi Stati, a cominciare dall'Italia, in materia di immigrazione. Fausto Melluso, del circolo Arci Porco Rosso, spiega che a Palermo si fanno sempre più frequenti i respingimenti differiti
Al Tribunale dei popoli spazio alle testimonianze dei migranti «In Egitto ero un militare, qui vivo come un cane per strada»
Lo ripete spesso, «vivo come un cane» è la frase mantra che più volte riporta nella sua testimonianza. Il giovane Mohamed ha di fronte a sè la giuria internazionale del Tribunale permanente dei popoli – formata da sette professionisti tra esperti di relazioni internazionali, giornalisti, medici e magistrati – e sembra non tradire alcuna emozione, nonostante la giovane età. Digrigna un po’ soltanto quando dice, ancora una volta, che qui in Italia, e più precisamente a Palermo, «vivo per le strade, come un cane, mangiando cibo scaduto». Da ieri all’interno dell’ex cinema Edison dell’Albergheria si esaminano politiche e prassi adottate dall’Ue e dai suoi Stati, a cominciare dall’Italia, in materia di immigrazione. Il Tribunale sta valutando eventuali violazioni di convenzioni e norme internazionali in materia di diritti umani. Si tratta di crimini e responsabilità complesse ma dimostrabili. E per far ciò da ieri pomeriggio si susseguono le testimonianze in prima persona di chi ad esempio è transitato dalla Libia, Paese con il quale l’Italia ha firmato recentemente un memorandum molto criticato dalle associazioni e dagli esperti del settore.
Il caso di Mohamed lo conferma. «In Egitto svolgevo il servizio militare, e non avevo riconosciuto il cambio al vertice del governo che andava contro la volontà popolare che si era espressa poco prima con il voto. Per questo motivo avevo lasciato l’esercito, ma il governo mi vietava di lasciare il Paese». È allora che l’ex militare, poco più che un ragazzo, scopre che se vuole andar via dovrà percorrere una tratta drammatica, lungo la quale sono morte migliaia di persone. Deve affrontare quel cimitero galleggiante che è il Mar Mediterraneo. Quando arriva in Italia, però, la situazione è completamente diversa rispetto a quel che si aspettava. I suoi sogni di rivalsa sono evaporati, e anzi la sua condizione peggiora rispetto a prima. «Mi sono pentito di venire qui, dall’Egitto ero convinto che qui si rispettassero i diritti umani». Mohamed è solo un caso, tra tanti, di coloro che hanno ricevuto alla stazione di Palermo quello che Fausto Melluso, del circolo Arci Porco Rosso, definisce «respingimento differito».
Anche lui racconta ai giudici del Tribunale la propria esperienza, come attivista dello sportello Sans papier che si occupa di dare ai migranti che arrivano a Palermo una prima forma di assistenza e di tutela: spiegandogli i propri diritti, accompagnandoli nelle lunghe e contorte procedure burocratiche per richiedere la protezione internazionale. «Il nostro circolo è attivo a piazza Professa, proprio a due passi da qui – spiega Melluso. Negli ultimi mesi abbiamo ricevuto tantissimi racconti similari a quelli di Mohamed: si tratta di persone che arrivano in Italia, senza documenti e senza la possibilità di averli, spesso senza soldi perché li hanno spesi tutti per arrivare fin qui. E molti poi vengono lasciati al proprio destino. In tanti si rifugiano alla stazione, e qui vengono raggiunti da fogli di via in cui gli viene comunicato che devono lasciare la città entro sette giorni».
Come ribadito ieri da Gianni Tognoni, Segretario generale del Tribunale Permanente dei Popoli, «i migranti non hanno bisogno di visibilità, sono tra i popoli più conosciuti, ma rimangono un popolo oggetto di osservazione e di prese di decisioni da parte degli Stati. Col nostro Tribunale vorremmo ridare loro il nome, per restituire la gerarchia dei diritti a chi ne è espulso». La sessione palermitana è stata richiesta da 95 organizzazioni del settore, che hanno configurato un atto d’accusa verso le politiche dell’Unione Europea; ai giudici viene chiesto se gli Stati membri abbiano effettuato, nei confronti del popolo migrante, crimini contro l’umanità. La giuria internazionale del Tribunale è composta da: Franco Ippolito, magistrato e Presidente del TPP; Philippe Texier, magistrato francese e vicepresidente del TPP; Carlos Beristain, medico e psicologo spagnolo, esperto di diritti umani e politiche di memoria; Donatella Di Cesare, filosofa, docente all’Università la Sapienza di Roma e alla Normale di Pisa; Luciana Castellina, politica, giornalista e scrittrice; Francesco Martone, esperto in relazioni internazionali, pacifismo e diritti umani; Luis Moita, professore di teoria delle relazioni internazionali – Università Autonoma di Lisbona.
Il Tribunale presenterà al pubblico domani, mercoledì 20 dicembre, alle 16.30, la decisione della giuria. Il Tribunale Permanente dei Popoli (TPP) è una istituzione fondata nel 1979 da Lelio Basso, come strumento di visibilità e presa di parola per quei popoli vittime di violazioni dei diritti fondamentali enunciati nella Dichiarazione Universale dei Diritti dei Popoli (Algeri, 1976), marginalizzati dal diritto internazionale, che con i suoi esperti da tutto il mondo esaminando cause e modalità di tali violazioni, denuncia all’opinione pubblica mondiale i loro autori, intervenendo laddove «le legislazioni nazionali ed internazionali non difendono il diritto dei popoli». La principale funzione del Tribunale è quella sussidiaria, poiché agisce in assenza di una giurisdizione internazionale competente a pronunciarsi sui casi di giustizia dei popoli. Nelle sue sentenze, il Tribunale non si limita ad applicare le norme esistenti, ma mette in evidenza lacune o limiti del sistema internazionale di tutela dei diritti umani per indicarne linee di sviluppo.