In Sicilia, sono tantissime le giovani che hanno deciso di investire nel lavoro dei campi. Spesso con un'attenzione particolare al biologico, producono ortaggi, gestiscono allevamenti e lavorano le materie prime dell'Isola. Puntando sui fondi europei che fino al 2020 mettono a disposizione oltre due miliardi di euro
Agricoltura, un’azienda su tre è gestita da donne «Riscopriamo tradizione con creatività e qualità»
Anna, Tiziana, Silvia, Gea, Delizia, Laura, Fiorella, Anna, Chiara, Rosa Giovanna. Sono tantissime, sono giovani, hanno studiato, spesso anche lontano da casa, per poi rientrare in Sicilia e riprendere in mano le aziende dei padri, dei nonni, dei mariti. O per aprirne di nuove. L’agricoltura siciliana, dati alla mano, ogni anno si tinge sempre più di rosa, con cifre impensabili fino a qualche decennio fa. Nell’Isola, dove il 70 per cento del Pil è mosso dall’economia agricola, un’azienda su tre è gestita da donne. Secondo Donne in campo, l’associazione nata in seno alla Confederazione italiana agricoltori (Cia), «le imprese guidate da un team in prevalenza al femminile hanno saputo giocarsi meglio di altri le carte vincenti dell’innovazione e della creatività».
C’è Rosa Giovanna che a Tusa gestisce un agriturismo e un allevamento biologico. O Chiara, la cui azienda agrituristica a Siracusa ha ottenuto il riconoscimento di Biohotel e che insieme alla mamma produce limoni Igp. C’è Fiorella, col suo oleificio nell’Agrigentino, e Valeria, con un impianto di trasformazione di materie prime. E ancora Anna, veterinaria, che coi suoi fratelli alleva vacche marchigiane e Laura, che insieme al papà agronomo, ha messo in piedi una fattoria sociale con percorsi di recupero per soggetti a rischio. Ma anche Anna, che coi genitori e le tre sorelle alleva l’ape nera sicula a Castelbuono e produce miele slow food. Infine Gea, anche lei con una mamma e tre sorelle: coltivano cereali biologici e grani antichi nell’Ennese.
Nessuna di loro si lascia scoraggiare dai piccoli e grandi imprevisti della vita di campagna. Appeso al chiodo l’abbonamento alla metropolitana, sono tornate alla terra, a casa loro, per valorizzare le imprese di famiglia e mettere a frutto i propri studi. «C’è un aumento reale delle donne che vogliono investire e fare agricoltura – racconta Rosa Giovanna Castagna, presidente regionale della Cia -. Non che le donne in agricoltura siano una novità, al contrario le aziende agricole sono spesso a conduzione familiare, anche se tradizionalmente a tenere le redini era il capo famiglia. Quello che è cambiato è il ruolo della donna in azienda, che oggi è più portata a fare un percorso indipendente, di autodeterminazione. L’agricoltura – continua – vive un momento che impone alle nuove leve di stare al passo coi tempi, pur valorizzando un passaggio dall’agricoltura intensiva a un’agricoltura di qualità».
In tal senso, le opportunità di crescita non mancano, a cominciare dal Piano di sviluppo rurale che, nell’ambito della programmazione delle risorse Feasr per il periodo 2014-2020, ha reso disponibili oltre due miliardi di euro. Sono stati individuati tre obiettivi di lungo periodo: competitività del settore agricolo, gestione sostenibile delle risorse naturali, sviluppo equilibrato dei territori rurali. I fondi permettono importanti margini di crescita e, laddove c’è la volontà, di allontanarsi dai primi anni Duemila, col boom dell’offerta agrituristica che ha portato spesso a una scarsa attenzione alla qualità dei prodotti e dei servizi offerti. «Nella mia azienda – racconta ancora Castagna – ci occupiamo principalmente di allevamento. Ma siamo un’azienda biologica, per cui cerchiamo di offrire anche le nostre produzioni orticole».
Una differenza di approccio possibile, secondo Castagna, grazie a un consumatore più attento. «Il turista-viaggiatore ricerca questo tipo di percorsi e se deve mangiare per tre giorni pomodori, seppure cucinati in maniera differente, perché la terra in quel periodo offre quel prodotto, non si lamenta». Dello stesso avviso anche Gea Turco, presidente regionale di Donne in campo con alle spalle una laurea in Conservazione dei beni culturali, che con i familiari gestisce l’azienda agricola. «Essere donna – racconta – comporta un approccio completamente diverso col territorio, coi proprietari delle terre confinanti, coi fornitori. I rapporti sono serenamente diplomatici, senza tentativi di prevaricazione».
La nuova agricoltura, quella 2.0, vuole stare al passo coi tempi, riscoprendo le antiche tradizioni contadine e rendendole accessibili, a portata di click. «Oggi lavorare i campi non è più soltanto fatica e sacrificio – spiega Turco -. Al contrario, il segreto di un’azienda che funziona è la convivenza di differenti bagagli culturali: dall’agronomo al contabile, dalla psicologa all’educatrice. È così che nascono le fattorie didattiche, gli agrinido, le esperienze di mutuo soccorso. È stata la contaminazione di saperi – conclude – a rendere possibile tutto questo, la direzione non può che essere quella giusta».