L'operazione Adernò ha tolto il velo su un'associazione che si occupava di comprare e rivendere stupefacenti ai piedi dell'Etna. Sono 26 le persone finite agli arresti, più due al momento latitanti. «Non siamo riusciti a individuare i fornitori della droga», spiegano dalla procura di Catania
Adrano: traffico di cocaina, assalti ai tir e scippi In manette Amoroso e Rosano, vicini alla mafia
Droga, rapine, armi e scippi. È iniziato tutto nel 2013, quando gli investigatori hanno voluto vederci chiaro su alcuni assalti ai tir nella zona di Adrano e nei paesi della fascia ionica tra Aci Castello e Giarre. Mesi di indagini, intercettazioni telefoniche e pedinamenti che hanno tolto il velo su una presunta associazione a delinquere che aveva fatto del traffico e spaccio di stupefacenti il suo business principale. Più di 30 persone indagate, di cui 26 finite in manette e due al momento latitanti perché fuori dai confini nazionali. Al vertice del gruppo ci sarebbero stati Vito Amoroso e Francesco Rosano. Due nomi noti ai piedi dell’Etna, per i legami con la famiglia di Cosa nostra catanese dei Santapaola-Ercolano. Alleanze storiche, nate tra Biancavilla e Adrano, con i clan che imperversano nel cosiddetto triangolo della morte. Da un lato i Toscano-Mazzaglia-Tomasello, dall’altro i Santangelo-Taccuni, quest’ultimi di base nel territorio adranita.
Il blitz della notte scorsa, coordinato dalla procura di Catania e che ha visto impegnati gli uomini della squadra mobile e del commissariato di Adrano, è l’ultimo atto di mesi d’indagini. Il gruppo – a cui però non viene contestato il reato di associazione mafiosa – aveva una modalità d’azione collaudata. I proventi degli assalti ai tir e di alcuni scippi, principalmente ai danni di anziane signore, sarebbero stati investiti per l’acquisto di alcune partite di droga. «Non abbiamo individuato i fornitori», spiegano dalla procura. Cocaina, ma anche metadone, marijuana e hashish che venivano poi spacciate nelle piazze dei due Comuni. «Un fenomeno molto diffuso tra Adrano e Biancavilla», dice il commissario locale Giancarlo Consoli. Non bisogna andare troppo lontano nel tempo quando nell’aprile 2014 scattava l’inchiesta Binario morto, o l’operazione Garden di qualche mese dopo. Decine di arresti che raccontano come l’area pedemontana sia attualmente tra le più calde in ambito criminale. Francesco Rosano, che è ritenuto uno dei capi, è il giovane figlio di Vincenzo. Già detenuto dal 21 aprile scorso dopo il blitz Terra bruciata del 2009. L’arresto di Vito Amoroso risale invece al 2013. All’interno della sua abitazione di Catania, gli agenti trovano cinque pistole con matricola abrasa, oltre a caricatori, cartucce e documenti falsi. Questi ultimi nascosti dentro una borsa termica.
Tra le carte dell’inchiesta Adernò ci sono anche due episodi di scippi. Alfio Ventura, Gaetano Bivona e Davide La Manna vengono individuati come i responsabili di due distinte rapine commesse ai danni di alcune signore anziane. Collane d’oro strappate con violenza dal collo delle proprietarie che sarebbero state pure picchiate a calci e pugni al primo cenno di resistenza. Colpi preventivati che non sempre coincidevano con i bottini sognati: «Ci vogliono, due, tre, quattro collane», spiegava un uomo a Ventura, che a sua volta replicava: «Anche una sola, di 50, 60 grammi». Il colpo in questione però non rispetta le aspettative: «Vale almeno 300 euro (riferendosi alla collana, ndr). Una volta che l’ho presa dovevo scappare lo stesso, ormai scappo con la collana», spiega Ventura al suo complice. I preziosi, collane, ciondoli, fedi nuziali e bracciali, venivano poi venduti come risulta dai registri contabili, ai Compro oro. Con guadagni che si aggiravano, per ogni transazione, intorno ai mille euro.
All’interno della presunta associazione ci sarebbero stati anche alcuni membri specializzati negli assalti ai tir. Rapine, spesso effettuate armi in pugno, che avrebbero avuto come protagonisti due coppie di fratelli: Alessio e Davide La Manna, Alfio e Angela Ventura oltre a Gaetano Bivona, Salvatore Fallica e Giulio Nicotra. «Ad alcuni di loro viene pure contestato il sequestro di persona – spiega Antonio Salvago, dirigente della squadra mobile di Catania -, in una occasione un autotrasportatore è stato addirittura rilasciato nei pressi di Palermo».