Adalberto Abbate e lo stato dell’arte «Ci ridono dietro se sentono della Biennale di Palermo»

L’indagine antropologica e il disincanto con il quale Adalberto rappresenta i meccanismi del quotidiano sono evidenti anche nelle parole che spende a difesa della Sicilia, di Palermo e contro chi le amministra. 

L’artista inizia un vorticoso monologo su quell’esercito di artisti e operatori del settore che hanno creduto di essere appoggiati dalle istituzioni in una battaglia per la cultura che non si è mai svolta «I Cantieri Culturali alla Zisa sarebbero potuti essere un’occasione di rinascita per l’intera città. Artisti, giovani professionisti e liberi cittadini hanno investito notevoli sforzi nell’occupazione di questo spazio (di cui peraltro era dubbia la destinazione d’uso) rendendolo vivo mediante attività e assemblee nel tentativo di tutelarlo come patrimonio cittadino. I giorni di occupazione hanno visto la partecipazione di noti personaggi politici con i loro taccuini e auto blu, che hanno alle riunioni dei cittadini hanno pian piano inserito le loro pedine che, a loro volta, hanno gestito arbitrariamente tutte le dinamiche nate all’interno dei Cantieri. Da lì in poi si è innescato un meccanismo di assoluta campagna elettorale» racconta Adalberto Abbate «I Cantieri che Vogliamo e la candidatura di Palermo a Capitale della Cultura 2019 sono state delle barzellette, un piano di riqualifica sociale e culturale privo di qualsiasi calcolo di budget e di reale potenzialità evolutiva. Sono state come le promesse di un capitano che poi ha abbandonato il suo esercito il giorno prima della battaglia, senza scarpe né armi. Le cose sono precipitate e sono spariti tutti causando una ulteriore sfiducia. In realtà sarebbe solo bastato essere limpidi, dire che non si disponeva di alcun fondo economico e, a quel punto, gli artisti e altri professionisti avrebbero agito di conseguenza adottando e mantenendo in vita lo spazio con laboratori, workshop e tanto entusiasmo. Oggi quei giovani sono persi nella sfiducia, sono stati demoliti nelle idee e nelle speranze da chi doveva promuoverli». 

Secondo Adalberto Abbate manca un dialogo costruttivo tra istituzioni e addetti ai lavori, perché «per il politico è difficile pensare di coinvolgere associazioni o privati che sono lontani dalle loro dinamiche, come possono essere nuove leve non corrotte e pronte a lavorare per un vero cambiamento. Le decisioni sono spinte dal clientelismo e dall’impreparazione. È chiaro che se non sanno prendersi cura dei monumenti del passato capitati nelle loro mani grazie alla sorte, come possono promettere futuri rosei? Nei palazzi del Comune, della Provincia e della Regione si passa da un’incarico all’altro senza concludere nulla, estromettendo i veri addetti ai lavori che hanno studiato e che sono conosciuti e apprezzati all’estero. La Sicilia continua a coprirsi di ridicolo nell’ideazione di eventi che vogliono essere di richiamo ma che sono solo tristezze, tutta l’Italia ci ride dietro sentendo parlare della Biennale di Palermo, visto che le dinamiche malate del malgoverno sono arrivate anche a patrocinare un’organizzazione che è in tutto e per tutto una versione tragicomica della Biennale di Venezia, un orrore che sa di truffa dove basta pagare e a caro prezzo per esporre negli spazi di eccellenza della città deturpati dalla pochezza culturale ed etica della proposta».

Questa terra sembra sotto la peggiore delle dominazioni, cosa resta da salvare?. «C’è poco da salvare, si può sentire ancora un po’ di entusiasmo di fronte ad associazioni che gestiscono con grande sacrificio parti del patrimonio cittadino come lo Steri e alcune chiese e oratori» continua «Ci ritroviamo di fronte all’impossibilità di paragonare la gestione privata con la gestione pubblica: il Museo Riso non ha nemmeno più il bookshop e gli eventi della caffetteria prendono il sopravvento su quelli del museo e il turista che arriva all’Abatellis, sempre che lo trovi aperto, non può comunicare perché nessuno lì dentro parla inglese, come del resto in aeroporto, altra tela di Penelope utile solo a mangiare fondi».

In Sicilia è diventata norma che il pubblico non funzioni o funzioni male, è norma il disservizio. Nell’idea di mantenere intatte le gerarchie di potere e lo stretto numero di amici ben seduti sulle poltrone pubbliche, si è voluto far credere che la cultura fosse accessibile. L’artista palermitano ha un’idea precisa di come siano andate le cose, anche quando sembrava che stessero migliorando. «Bandi, concorsi e coinvolgimento dei cittadini nelle attività culturali sono serviti solo a porre tutti sullo stesso livello, appiattendo le gerarchie sbagliate, quelle del valore. Tutto è campagna elettorale. Nulla viene fatto nell’ottica costruttiva di un futuro migliore ma nell’evanescenza di una richiesta momentanea, come per accontentare un quartiere che chiama riqualifica e che dopo un paio di mesi viene dimenticato di nuovo.

Quello di Adalberto Abbate si potrebbe definire disfattismo se non si considerasse la reale coesistenza dei diversi elementi di cui parla «Credo che la politica non abbia più potere educativo, non dà importanza al valore delle cose, non sa fare economia con la cultura nemmeno copiando sistemi funzionanti e il cittadino ne è consapevole, ed è per questo che in essa non riconosce alcun potere. Il nucleo della speranza è l’amore viscerale che i palermitani provano per Palermo e che li sostiene nelle loro lotte solitarie contro i mulini a vento.». 


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