La legge regionale sull'acqua in stand by, tra profili di incostituzionalità e un orientamento contrario alla concentrazione dei gestori, complica la strada per il riordino del settore. A farne le spese Aps, con i lavoratori che rischiano di pagare il prezzo più alto, rimanendo schiacciati tra l'Amap che cerca le condizioni più favorevoli e la Regione che ha idee poco chiare
Acque potabili siciliane e le parole perse nel vento L’insopportabile melina di chi non vuole decidere
Dopo che per anni la politica siciliana ha saccheggiato le casse di Regione ed enti comunali, lasciando cinicamente in ostaggio il destino di precari illusi e di un sistema che non ha prodotto esiti, avanza il rischio concreto delle cose che non si riescono a fare. Adesso, dopo che la neve si è sciolta, rimangono i buchi. I lavoratori di Aps, Acque potabili siciliane, la società in regime di curatela fallimentare, guardano con preoccupazione e perplessità all’evoluzione della vicenda che li riguarda. Il tracollo che ha portato al fallimento è arrivato dopo mesi di silenzio e di non-decisioni. Se non proprio voluto, neanche scongiurato a sufficienza da chi oggi, al governo della Sicilia, veste una maglia diversa da quella di ieri.
«Gli altri si sono fatti le assunzioni negli Ato e nelle altre società e noi dobbiamo andarli a licenziare?». Il quesito arrivava al governatore siciliano alla vigilia delle scorse elezioni europee, lasciando Crocetta in un silenzio inoperoso. L’accordo di maggio che prevedeva che fosse Aps a dover gestire il servizio idrico integrato nei 38 comuni della Provincia di Palermo che avevano aderito al piano di fuoriuscita dall’emergenza idrica, sembra una parola persa nel vento. Oltre duecento persone, che si aggrappano al posto di lavoro per combattere il futuro di incertezza che li attende, cercano risposte da una classe dirigente che non sa dove trovarle. In una vicenda nata male e che rischia di finire solo peggio, in cui certamente non aiuta la nuova legge sull’acqua, esitata in pieno agosto dal parlamento regionale che in questi giorni è sotto la lente d’ingrandimento del governo nazionale, a forte rischio di impugnativa per profili di incostituzionalità.
Stamattina presso il Centro Don Orione di via Pacinotti è convocata l’assemblea di tutti i lavoratori Aps. In regime di curatela fallimentare non si poteva interrompere un servizio pubblico essenziale che utilizzasse il ramo d’azienda con il relativo personale, e la banca dati. Perplesso Francesco Lannino della Filctem Cgil. «Si rimane nella più totale incertezza. La legge di riordino del servizio idrico di Sicilia cerca di accontentare tutti ma non risolve un solo problema legato al servizio idrico integrato – denuncia -. Si deve capire se la gestione sarà unica. Il decreto Sblocca Italia aveva sancito principi in continuità con la Legge Galli, un ambito, un gestore, una tariffa. Gli ambiti in Sicilia non sono mai decollati. Oggi l’Amap vuole avere l’affidamento definitivo del servizio, ma non è facile che lo possa avere».
A metà strada tra la disillusione ed il pessimismo, ancorato alla lucidità delle migliori scelte possibili da compiere è il lavoratore. Ivan Porrà, dipendente di Aps, racconta: «A pagare il conto siamo noi, non ci resta che attaccarci al nostro posto di lavoro. Gli stipendi ci vengono pagati in maniera irregolare, ne avanziamo cinque dall’Ato. Andiamo avanti».
Dove la disperazione non può prevalere per allargare il baratro serve l’agibilità per potere riempire di contenuti gli atti da compiere. A partire dall’Amap, che, secondo alcuni, vede lungo sulla portata dell’operazione, ma la vuole ottenere al minor costo possibile e che continua a chiedere garanzie all’interlocutore sbagliato. I curatori fallimentari, infatti, operano all’interno di precisi limiti di mandato. Vincenzo Figuccia vice capogruppo di Fi all’Ars sull’argomento dice : «Ai cittadini che hanno il diritto di fruire dei servizi e ai lavoratori che chiedono di continuare a fare il loro lavoro – dice Vincenzo Figuccia vice capogruppo di Fi all’Ars sull’argomento – non possono interessare le beghe interne». Come è anche vero che non può che interessare alla classe dirigente trovare soluzioni quando servono e non soltanto in prossimità dell’urna elettorale che piange.