È arrivata oggi la condanna per il 46enne a un anno e quattro mesi, con pena sospesa. Avrebbe sfruttato il proprio ruolo per indurre due ambulanti a barattare la preferenza elettorale. In aggiornamento
Acireale, condannato l’ex sindaco Roberto Barbagallo Per i magistrati intimidì ambulanti per procurare voti
Condanna a un anno e quattro mesi, con pena sospesa, per Roberto Barbagallo. L’ex sindaco di Acireale, arrestato a febbraio 2018 dalla guardia di finanza nel blitz Sibilla. La sentenza di primo grado è stata pronunciata pochi minuti fa, dopo circa quattro ore di camera di consiglio, dalla giudice Rosa Alba Recupido. Barbagallo è stato ritenuto responsabile di tentata induzione indebita a promettere utilità. Assolto con la formula del fatto non sussiste – particolare che non è passato in secondo piano a chi era presente – il luogotenente dei vigili urbani Nicolò Urso, l’agente di cui il primo cittadino si sarebbe servito per agganciare i fratelli Salvatore e Sebastiano Principato, ambulanti – anche loro assolti – attivi nella zona di San Martino. I due, a ottobre 2017, quando mancavano poche settimane al voto per le Regionali, vennero avvicinati da Urso per un controllo amministrativo al camion di loro proprietà. A dare mandato al vigile era stato in precedenza lo stesso Barbagallo: «M’aggiuva na cosa elettorale», è la frase pronunciata dal primo cittadino e attorno a cui è ruotato il processo sin dalle primissime battute.
Per i legali del 46enne – gli avvocati Enzo Mellia e Piero Continella – quelle parole non avrebbero significato altro che un riferimento al programma elettorale di Barbagallo, che aveva nella lotta all’abusivismo e alle irregolarità nel commercio su strada uno dei punti principali. La tesi, però, non è stata condivisa dal tribunale. Per l’accusa Barbagallo, che era presente in aula, si sarebbe mosso in chiave elettorale, con l’intento di creare le condizioni affinché i due Principato chiedessero una sua intercessione per evitare le sanzioni amministrative. A quel punto, Barbagallo avrebbe chiesto loro in cambio di votare alle Regionali per Nicola D’Agostino, il politico di riferimento dell’allora sindaco che è sempre rimasto estraneo alle indagini. L’assoluzione di Urso, tuttavia, lascia aperta una serie di domande in merito alla commissione del reato; il vigile, infatti, secondo l’impianto accusatorio sarebbe stato il braccio di cui Barbagallo si sarebbe servito per compiere il reato. La sentenza, tuttavia, ha stabilito che nel comportamento di Urso non ci sarebbero stati rilievi penali. Per capirne di più, bisognerà attendere le motivazioni.
La giudice ha assolto anche tutti gli altri imputati: Alessio D’Urso, Salvatore Di Stefano, Giovanni Barbagallo, Ferdinando Garilli, Anna Maria Sapienza, Eva Finocchiaro, Angelo La Spina, Salvatore Leonardi e Giuseppe Sardo.
L’udienza, stamattina, si era aperta con le repliche dell’accusa, rappresentata dal pm Fabio Regolo, a cui hanno controreplicato in seguito diversi esponenti del collegio difensivo. È stato uno scambio di osservazioni acceso. «Leggendo le trascrizioni dell’ultimo verbale – ha esordito il magistrato facendo riferimento alla giornata in cui si sono tenute le arringhe dei difensori – ho visto che si è parlato di abusi di sospetti. Ci si dimentica che c’è stato un gip che ha disposto le intercettazioni e che ha autorizzato le misure cautelare, e poi un giudice del tribunale della libertà che si è espresso». Il pm ha difeso l’impostazione dell’indagine, sottolineando di avere seguito tutto da vicino sin dal primo momento coordinando il lavoro degli investigatori. «Conosco a memoria gli elementi acquisiti nel corso dell’indagine», ha aggiunto il pubblico ministero, ricordando di avere chiesto anche diverse assoluzioni, a riprova dell’approccio laico nei confronti del dibattimento. Regolo ha smentito che l’intercettazione principale sia stata registrata in un momento in cui nella stanza del Comune erano presenti altre persone e non solo i due imputati. A conclusione del proprio intervento, in merito alla posizione di Barbagallo e Urso ha chiesto che, nel caso i giudici non ritenessero sussistente il reato di induzione indebita a promettere utilità, di riqualificare il reato in tentata concussione con la concomitante assoluzione dei fratelli Principato, da ritenere in tal caso vittime.
A rispondere, poco dopo, sono stati diversi avvocati difensori. La tesi unanime – tanto dei legali dell’ex sindaco e del luogotenente dei vigili urbani di Acireale quanto dei commercianti – è stata quella ribadita durante l’intero processo: la condotta di Barbagallo e di Urso sarebbe stata inserita nella normale attività amministrativa dell’ente comunale. Per questo, tutti hanno chiesto l’assoluzione perché il fatto non sussiste. «Ove mai ci sia stato un ordine del sindaco rivolto a Urso – ha detto l’avvocato Enzo Mellia, difensore di Barbagallo – quell’ordine non ha fatto emergere una situazione irregolarità scaturita da quel controllo. Mai è stato accertato che l’ispettore Urso abbia prospettato una situazione bonaria ai Principato e in nessun caso è emerso l’ottenimento della promessa dei voti a favore del referente politico».
Barbagallo, che nel corso del processo è stato spesso presente in aula, incassa così il verdetto negativo. Una sentenza che già farà discutere e che di certo sarà appellata, ma che potrebbe assestare un duro colpo alle ambizioni del 46enne. Per quanto finora si trattasse di voci, in queste settimane sono stati in molti a credere che un eventuale esito positivo avrebbe determinato un rientro ufficiale sulla scena politica locale di Barbagallo. L’ingegnere, che nel 2014 divenne sindaco vincendo al ballottaggio con il sostegno del movimento Cambiamo Acireale, ultimamente avrebbe fatto presente la propria intenzione di ricandidarsi alle Comunali del prossimo anno, quando nella città dei cento campanili si tornerà al voto.