Cala il sipario sul centro che accoglie 12 richiedenti asilo. La cooperativa che la gestisce non paga i dipendenti da quasi due anni ed è in arretrato anche con i pocket money destinati ai migranti. Nei giorni scorsi visita di verifica del ministero dell'Interno
Aci Sant’Antonio, il sindaco chiude il progetto Sprar Dipendenti della cooperativa attendono 19 stipendi
Finisce nel peggiore dei modi possibili il progetto Sprar di Aci Sant’Antonio. Il sindaco Santo Caruso ha comunicato ieri al ministero dell’Interno l’intenzione di chiuderlo, visto il quadro complessivo difficilissimo. Due settimane fa il servizio nazionale Sprar, articolazione del Viminale incaricata di vigilare sul rispetto dei parametri, ha effettuato un sopralluogo di verifica nei locali che ospitano i 12 migranti. Al termine, il Comune ha ricevuto un relazione contenente un corposo elenco di criticità. Che riguardano anche il trattamento degli stessi richiedenti asilo, trasferiti in due stabili di via Garibaldi dopo lo sfratto dalla Casa dei giovani intentato dalla Diocesi di Acireale. In più c’è anche il forte arretrato – cinque mesi – sui pocket money, i soldi giornalmente destinati ai migranti per le piccole spese.
Ma le note dolenti arrivano soprattutto per i dipendenti della cooperativa Chiron, sorta dall’affitto di un ramo d’azienda della cooperativa che si era aggiudicata il progetto, Luoghi comuni. I lavoratori, che negli ultimi 19 mesi non hanno ricevuto lo stipendio, hanno deciso di gettare la spugna e si sono dimessi in blocco nei giorni scorsi. Nonostante il lavoro svolto, che ha permesso agli ospiti del centro di integrarsi più che bene nel tessuto sociale ed economico etneo. Quasi tutti lavorano o sono impegnati in tirocini formativi.
«Sono ovviamente solidale con i lavoratori – dice il primo cittadino Caruso – ma è un grande peccato anche disperdere le esperienze dei richiedenti asilo, con i quali, in tre anni, non abbiamo mai avuto il minimo problema». Sarà il ministero dell’Interno, una volta approvata la chiusura del progetto, a ricollocarli in centri analoghi. Al momento sarebbero quasi abbandonati a sé stessi, visitati da rappresentanti della coop una o due volte la settimana. Per loro si tratterà in ogni caso di una cesura dolorosa: allontanandosi da Aci Sant’Antonio e più in generale dal Catanese, perderanno il lavoro e i programmi educativi che frequenteranno. «In questo momento – aggiunge il sindaco – c’è bisogno di fermare tutto, per fare chiarezza sulle responsabilità di quel che sta accadendo. Ma la linea politica non cambia: parteciperemo – conclude – al prossimo bando per lo stesso progetto».
Dal canto loro, i dipendenti di Luoghi comuni–Chiron hanno avviato una contesa legale per cercare di recuperare almeno una parte delle spettanze: «Siamo molto delusi – sospira Chiara Rondine, ex direttrice del centro -. Naturalmente, a nostro avviso, ci sono colpe della cooperativa. Ma, a dire il vero, anche il Comune avrebbe potuto fare di più. Per esempio, avrebbe potuto sostituirsi alla coop nella gestione e pagare prima dipendenti e fornitori, come avvenuto in un caso analogo a Ramacca».
Il finanziamento del Fondo nazionale per le politiche e i servizi di asilo è stato ottenuto dall’amministrazione comunale santantonese nel febbraio 2014. Circa 300mila euro l’anno per il triennio 2014-2016. Poi rinnovato per il periodo 2017-2019. La cooperativa Luoghi comuni fu l’unica a farsi avanti per la gestione. Fino ad oggi, il Comune ha messo di tasca propria una quota pari al 20 per cento, in beni, servizi e sei unità di personale.
Gli attriti tra Luoghi comuni e la diocesi di Acireale, che fino a un anno fa forniva al progetto, gratuitamente, la Casa dei giovani di piazza Baden Powell, avevano costretto nello scorso giugno i dipendenti a trasferire i migranti in due appartamenti privati di via Garibaldi.