«Circa il 70 per cento dei rifiuti che ci sono in mare si trovano sui fondali, ma alcuni studi dicono che si potrebbe anche arrivare al 90 per cento». Questi numeri li conosciamo grazie all’attività di Abyss Cleanup, un’associazione di promozione sociale creata nel 2019 da Igor D’India – videomaker ed esploratore palermitano – dall’idea di un docu-film che raccontasse la situazione dei rifiuti sui fondali marini. Tra gli obiettivi di Abyss Cleanup ci sono «la tutela dell’ambiente marino e dei suoi ecosistemi», dice D’India a MeridioNews. Quando si pensa all’inquinamento del mare, nel nostro immaginario ci sono le isole di plastica galleggianti, che negli oceani del nostro pianeta si estendono per diverse decine di migliaia di chilometri quadrati. In realtà la gran parte dei rifiuti si deposita sul fondo, «non solo per il peso, ma anche per le condizioni particolari che si trovano in mare», dice D’India. «E ci sono due grandi categorie di rifiuti: quelli da discarica e quelli legati alla pesca».
Nella prima rientrano «i rifiuti comuni, gli oggetti di uso quotidiano: scatolette di tonno, cellulari, lavatrici, giocattoli, pneumatici, vestiti, barche» e molte altre cose «che tutti abbiamo avuto in mano almeno una volta»; nella seconda categoria – dice il videomaker al nostro giornale – «ci sono reti da pesca, ami, nasse e altri oggetti che i pescatori perdono – o lasciano intenzionalmente sui fondali – perché finiscono la loro vita». E «sono molto pericolosi – dice D’India – perché questi strumenti, già pensati per uccidere, continuano a farlo anche sul fondo del mare». Oggetti che poi diventano parte dello scenario marino, «colonizzati dai coralli e da altre forme di vita». Per questo motivo non è semplice rimuoverli. «Non si possono toccare – dice D’India – prima dev’essere fatta una valutazione». Abyss Cleanup, infatti, collabora con scienziati che valutano quanta parte di un oggetto – per esempio una rete da pesca – «è inglobata dalla natura, quanta vita è presente intorno al rifiuto». Se rimuovere quell’oggetto vuol dire fare più danni – e magari sradicare dei coralli che sono cresciuti sul rifiuto – «si lascia lì, non si rimuove – dice D’India – se no si può procedere».
«La stessa cosa – ma dev’essere ancora dimostrata – potrebbe valere per i rifiuti da discarica. Ma su fondo sabbioso e profondo più di 50 metri rimuoverli è molto difficile e costoso». Anche in quel caso Abyss Cleanup sarebbe affiancata da «biologi marini, perché più volte ci è capitato di trovare anemoni di mare dentro bottiglie di plastica e polpi dentro tubi da edilizia». I rifiuti arrivano in mare «trasportati dai fiumi o a causa delle alluvioni. Inoltre – continua D’India – alcuni canyon fanno da autostrade naturali per i rifiuti, letti di fiumi che continuano anche sotto il mare e che hanno scavato il loro letto nei secoli». Dopo le prime immersioni – effettuate nel 2019 in Liguria e in Sicilia – ha iniziato a prendere forma il docu-film Abyss Cleanup. Girato in quattro anni e prodotto da Popcult, contiene riprese effettuate dallo stesso videomaker palermitano e da altri sub, oltre che da sottomarini a comando remoto (Rov).
«Abbiamo scelto queste due regioni perché hanno mare e coste abbastanza rappresentative», dice D’India. In Sicilia un luogo molto importante per il progetto è lo Stretto di Messina, nel quale «con un Rov molto grande siamo arrivati a fare riprese a 600 metri di profondità». In Liguria, invece, il progetto ha ripreso alcune delle auto che nel 1970 sono state affondate a Varazze, in provincia di Savona. L’obiettivo di quell’operazione era smaltire centinaia di carcasse di automobili distrutte da una violentissima alluvione, ma anche creare un habitat artificiale per ripopolare quel tratto di mare di pesci, di molluschi e di crostacei. «È una pratica dibattuta – dice D’India al nostro giornale – inoltre le auto non sono fatte di materiali neutri o non inquinanti. In effetti – continua il videomaker – poi dei pesci sono tornati, ma ora nelle auto di Varazze sono incastrate anche reti da pesca e nella zona ci sono anche altri rifiuti, per esempio batterie e lenti». L’idea del film – e lo stesso progetto Abyss Cleanup – ha preso forma sia «grazie alle segnalazioni di scienziati che avevano fatto studi in uno specifico tratto di mare» sia da quelle «di pescatori e di subacquei» che sapevano che in quel punto era stata scaricata immondizia. «Ogni luogo ha la sua storia – dice D’India – e le segnalazioni sono fondamentali».
Il docu-film – che il prossimo settembre uscirà in tutta Italia – lo scorso giugno è stato presentato in anteprima al Festival Cinemambiente di Torino. «A breve sapremo in quali sale verrà proiettato – dice D’India a MeridioNews – ma di sicuro ci saranno molti appuntamenti mattutini per le scuole». A breve, intanto, altre due proiezioni anticiperanno l’uscita ufficiale: «Il 18 luglio al SicilAmbiente Film Festival di San Vito Lo Capo», in provincia di Trapani, poi «il 27 luglio al MuMa – Museo del Mare», che si trova nel castello di Milazzo, in provincia di Messina. In entrambi gli appuntamenti – a ingresso gratuito – Igor D’India sarà presente. «Per il docu-film – dice il videomaker palermitano – abbiamo ricevuto il supporto economico della Sicilia Film Commission», mentre le attività dell’associazione «sono finanziate da sponsor, donazioni e dal cinque per mille». Al film, inoltre, hanno collaborato il Consiglio nazionale delle ricerche – Istituto di geologia ambientale e geoingegneria, e Sea Sheperd Italia, organizzazione che si occupa di difendere, conservare e proteggere gli ecosistemi e la fauna marina. Un’altra partnership importante, per l’associazione Abyss Cleanup, è quella con l’Università La Sapienza di Roma, «con la quale abbiamo collaborato per il monitoraggio di microplastiche. La Sapienza – continua D’India – ha fatto dei campionamenti a dieci, venti e trenta metri di profondità. Stiamo aspettando i risultati, perché sono studi che richiedono molto tempo e tecnologie particolari – conclude il videomaker palermitano – Sarà molto interessante capire cos’hanno trovato».
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