A Palermo altri 61 migranti e 5 cadaveri del naufragio di domenica

UNA TRAGEDIA SENZA FINE E SENZA SOLUZIONE

Arriveranno alle 17.30 nel porto di Palermo a bordo di una petroliera, Genmaar Compatriot, i 61 migranti e i 5 cadaveri che erano stati recuperati ieri nell’ambito delle operazioni di soccorso a un gommone semiaffondato nel canale di Sicilia a 50 miglia a nord da Tripoli nel corso dell’operazione Mare Nostrum.I migranti sono di nazionalita’ senegalese, nigeriana e ghanese. Saranno ospitati nei centri della Caritas di Palermo.

Intanto, continuano ad emergere particolari orribili sul naufragio di domenica scorsa.  Innanzitutto non si sa e, probabilmente non si saprà mai, il numero esatto dei morti. Di certo sono tanti. A quanto pare, c’è stata una  una lotta per la sopravvivenza nel barcone soccorso nel Canale di Sicilia da una petroliera danese che ha trasportato  a Messina 561 persone. Dalla Libia, hanno riferito, erano partiti in oltre 700.

I sopravvissuti hanno raccontato di avere visto i corpi di connazionali, amici e parenti, accoltellati o storditi a mani nude, scomparire in mare. Impotenti perche’ minacciati a non muoversi, pena la stessa sorte.

La  Squadra mobile di Messina con l’accusa di omicidio plurimo aggravato ha arrestato cinque presunti scafisti. Si tratta di un palestinese, un arabo saudita, un siriano e due marocchini che le indagini condotte a tempo record dagli investigatori indicano come i presunti assassini di decine di profughi.

In manette sono finiti Mhamed Morad Al Fallah, 21 anni, nata a Damasco in Siria, operaio; Youssef Dahman, 20 anni, originario di Fes in Marocco; Abdrzakc Asbaoui, 25 anni, nato a Bnimlal in Marocco; Saddam Abuhddayed, 25 anni, nato a Khanyounis in Palestina, commerciante; e Jamal Rajeb, 32 anni, originario dell’Arabia Saudita, imbianchino.

Le testimonianze tra chi su quel barcone c’era e ce l’ha fatta concordano sulle modalita’ con cui decine di profughi sarebbero stati ammassati all’interno della stiva del barcone e chiusi dentro. Poi, secondo il racconto reso agli investigatori, sarebbe stata tolta la scala interna e chiusa la porta dall’esterno eliminando cosi’ l’unica presa d’aria alla stiva. In pochi minuti il calore e’ diventato insopportabile e l’aria irrespirabile a causa dei gas di scarico del motore. La disperazione ha spinto quindi i prigionieri a forzare la porta e salire in coperta dove si e’ consumata la tragedia.

 

 


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