A ciascuno il suo (locale)

Spesso sentiamo parlare di locali a noi sconosciuti e ancor più spesso, ci piacerebbe sapere in anticipo gli stereotipi che frequentano determinati locali; ci basterebbe sapere pochissimo per evitare brutte figure, magari con la ragazza con cui vogliamo fare colpo. Un dato è certo, ed è stato confermato dalle diverse “categorie” di persone da me sentite. A nessuno piace essere catalogato.

 

Tutti hanno una sorta di fobia nei confronti della “banalità”; insulta le persone nel peggior modo possibile, ma dagli del “banale”, del “superficiale” del “già visto/sentito” e scatterà in loro una furia (spesso inconscia e controllata) volta a dimostrare in ogni modo, che vi state sbagliando, che state prendendo un abbaglio. Basta poco però per capire che tutti, (la maggior parte inconsciamente), sono catalogabili presso stereotipi fissi e (spesso) molto rigidi.

 

Catania, in quanto a locali, offre un po’ di tutto; passi dai quello extra-fighetto (molto odiato dal 90% dei nostri studenti) ai locali per “alternativi”; emeroteche a pochi metri da pub di massa, locali gay e chi più ne ha più ne metta. Ma effettivamente, esiste uno stereotipo per ogni locale?

Le persone che frequentano determinati posti, vanno li perché vogliono incontrare la persona sociologicamente più vicina a loro, o scelgono casualmente dove fermarsi a bere una birra? Domande banalissime che ci fanno scoprire una cosa strana. I ragazzi intervistati, sembravano rispondere con quel tono tipico di chi ti dice “ma pare che non lo sai?”. Difficile a credersi, ma nulla, quando si parla di scegliere un locale, è lasciato al caso.

Luana, 23 anni, afferma: “…Onestamente a me piace tantissimo andare al woxy, perché lì posso incontrare quei figoni dei motociclisti che vengono lì….” Al che io la interrompo per chiederle “ …Mai provato a frequentare locali un po’ meno di massa, dove la comunicazione non è ammazzata dalla musica a spaccatimpani?” “Se per locali non di massa, intendi l’ostello o tertullia, ti rispondo MAI, con quegli scicati manco a parlarne…”. Stessa cosa succede se si chiede ai frequentatori dei “posti alternativi”.

 

LA FEBBRE DEI SOLDI. I locali a Catania possono essere distinti in base agli stereotipi di ragazzi che li frequentano assiduamente. Locali come “L’acqua santa”, “Ma”, “Soha”,”Bed cafe”,”Native” sono frequentati per la maggior parte da persone intorno ai 20/22 anni, ma può accadere (non di rado) di incontrare persone più grandi. Denominatore comune del frequentatore abituale è la voglia di dimostrare di essere più ricco dell’amico/a. Una sorta di febbre che ha contagiato un po’ tutti i catanesi che frequentano determinati posti (dopo il naturale “aperitivo pomeridiano del caffè Europa), la febbre dei soldi; dimostrare sempre e puntualmente di più di quello che sostanzialmente si ha. Una voglia così forte che ormai è stata interiorizzata da un bel po’ di persone all’interno di quel circolo vizioso. Roberto, 22 anni, afferma: “Io vado in determinati posti perché voglio incontrare le stesse persone che incontro il lunedì in facoltà, il martedì ai 4/20… Non voglio mischiarmi con la massa” (che bello vedere sempre le stesse persone! n.d.r.). L’angoscia di dimostrare più di quanto  effettivamente e realmente si possiede, la si avverte nell’aria. E’ così forte, che non ci si può non fermare a chiedersi “Ma catania è realmente così ricca?”.

 

QUELLI DELL’UNDERSTATEMENT. Stessa cosa avviene sul versante opposto; locali che possono essere accomunati da uno stereotipo ben definito e delineato; il classico ragazzo che cerca di distinguersi dalla massa, senza accorgersi (naturalmente) che il suo tentativo disperato, risulta più banale di quanto non possa sembrare. Il tipico frequentatore del Nievsky, dell’ostello, dell’Achab, del Fondo bianco, (locali accomunabili per persone che li frequentano) è una persona quasi sempre universitaria, economicamente indelineabile, in quanto il suo look trasandato lascia presagire anni di dormite sotto i ponti; ma effettivamente non è così, Catania non sarà ricca, ma non è nemmeno una città che pullula di homeless. Qui il tentativo è più grottesco e si cerca in tutti i modi di dimostrare di possedere meno di quanto realmente si possieda. Una regressione forzata che però viene vissuta dai ragazzi in modo un po’ ambiguo e ipocrita. Francesco, 21 anni, assiduo frequentatore di questi locali: “Io mi vesto in questo modo perché mi piace, figuriamoci se lo faccio per dimostrare qualcosa a qualcuno… la mia filosofia è tranquillamente quella del me ne fotto”; ma alla domanda “Andresti in un locale frequentato dai fighetti?” la sua risposta è puntuale e prevedibile come un orologio svizzero: “Ma sei fuori? Quella è una razza che andrebbe epurata… ma che fai scherzi? quelli sono proprio senza cervello e pensano solo al posto figo e alla macchina figa”.

 

TRASVERSALI, O MEGLIO SEPARATI IN CASA. Poi ci sono i posti di massa, dove gli stereotipi si mischiano all’ingresso per poi dividersi all’interno in sottogruppi. Locali come lo Stag’s Head, il Woxy, il Fabbrik, La Chiave (un tempo frequentata da punk a bestia e alternativi), sembrerebbero a primo acchitto frequentati da persone di ogni genere, età, sesso ed estrazione sociale, ma all’interno ti accorgi facilmente che i clienti si “spartiscono” effettivamente il territorio. Allora è raro che al tavolo dei “mammoriani” (stereotipo coniato da un noto cabarettista catanese, che continua ad avere successo, e che sta ad indicare quello che a Roma indicano con la parola “coatto”) trovi gli alternativi (che il più delle volte preferiscono evitare questo genere di posti), o i fighetti.

 

A conclusione di questa indagine vorrei citare ogni singolo ragazzo intervistato, ma lo spazio è quello che è, quindi mi limito a citarvi la risosta più sentita e frequente alla domanda “Tu ti ritieni un open mind?” (domanda posta a tutti gli stereotipi di persone immaginabili). La risposta più comune era: “Certo, io non mi limito a giudicare un posto in base alla gente che ci va, io posso frequentare ogni tipo di persona indipendentemente da dove mi trovo”. Strano, no?


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