Fondiaria Sai, in arresto la famiglia Ligresti Dai presunti contatti con la mafia alla frode

Quasi tutta la famiglia Ligresti in manette. E’ l’epilogo dell’indagine della procura di Torino sulla Fondiaria Sai, che coinvolge anche i figli dell’imprenditore originario di Paternò, in provincia di Catania. Jonella, Giulia Maria e il padre Salvatore  – per i non simpatizzanti don Salvatore – a cui sono stati concessi, però, i domiciliari. In carcere anche gli ex amministratori delegati Emanuele Erbetta e Fausto Marchionni e l’ex vicepresidente della società, Antonio Talarico. Ricercato in Svizzera, invece, un altro dei figli di Ligresti, Paolo, per il quale si attende di capire se ha intenzione di consegnarsi spontaneamente o servirà la collaborazione delle autorità elvetiche. Tra gli indagati anche Vincenzo La Russa, fratello del politico Ignazio.

L’accusa è la stessa per tutti: falso in bilancio e manipolazione del mercato azionario. Avrebbero cioè sottostimato le riserve assicurative nel bilancio 2010 per 600 milioni di euro, proprio nel periodo in cui i Ligresti stavano cercando la fusione con Unipol. Così facendo si sono evitate ricadute sul titolo azionario, ma la procedura non è legale e, secondo gli inquirenti, avrebbe danneggiato circa 12mila risparmiatori. La procura di Torino sta quindi valutando l’opportunità di confisca dei beni a carico della famiglia Ligresti. E c’è già chi si chiede che ne sarà dei cavalli – dal valore milionario – di Jonella Ligresti, mentre i diritti delle borse – e del marchio da vip Gilli  della sorella Giulia Maria erano già stati ceduti. Dopo un’inchiesta durata circa un anno, arrivano, dunque, i primi arresti e gli avvisi di garanzia.

Ma l’imprenditore di origini siciliane Salvatore Ligresti non è nuovo agli onori delle cronache – anche e non solo – giudiziarie per la sua attività imprenditoriale. Attorno a lui, a Milano, dove è emigrato, in molti si sono sempre chiesti cosa abbia fatto la sua fortuna. Dalla Sicilia alla Lombardia non si è mai smesso di chiacchierare su una sua presunta vicinanza alla criminalità organizzata etnea. Ma le indagini giudiziarie non lo hanno mai dimostrato. Nel 1984 Ligresti è stato indagato perché sospettato di avere rapporti con Cosa nostra, ma il dossier fu archiviato dopo poco. Indagato con lui anche Franco Finocchiaro, uno dei quattro «cavalieri dell’Apocalisse» come ha soprannominato i cavalieri del lavoro catanesi del tempo Giuseppe Fava, giornalista ucciso per mano mafiosa.

Nei primi anni 90 Ligresti viene accusato dal collaboratore di giustizia Angelo Siino, considerato il ministro dei Lavori pubblici di Cosa nostra, di avere contatti diretti con il boss etneo Nitto Santapaola. Secondo i racconti del pentito, l’imprenditore paternese sarebbe stato favorito a tal punto da stravolgere il sistema della distribuzione degli appalti messo in piedi dalla mafia. E di Ligresti parla anche, nel 1996, un altro pentito, Gaspare Mutolo, che riferisce una confidenza ricevuta da Vittorio Mangano, stalliere di Silvio Berlusconi, secondo la qualel’imprenditore avrebbe riciclato i capitali mafiosi della famiglia Carollo. In entrambi i casi, però, la fedina penale di Ligresti esce intatta.

Tranne che nel 1992, quando viene coinvolto nell’indagine che è passata alla storia come Tangentopoli. Arrestato e condannato, patteggia una pena a due anni e quattro mesi, ma viene affidato ai servizi sociali e continua la sua attività imprenditoriale. Fatta di quote in diverse aziende: dalla Pirelli alla Cir di Carlo De Benedetti; dal 2004 Rcs Mediagroup e fino al 2011 attraverso il ruolo di consigliere di amministrazione di Unicredit.


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Il padre Salvatore è agli arresti domiciliari, le figlie Jonella e Giulia Maria sono in carcere, mentre il figlio Paolo è ricercato in Svizzera. L'accusa è di falso in bilancio della società di assicurazioni, con un danno per 12mila risparmiatori. Ma l'imprenditore di origini paternesi non è nuovo alle cronache giudiziarie. Dagli anni 80 diversi pentiti raccontano della sua presunta vicinanza a Cosa nostra etnea. Tutte le accuse a suo carico cadono nel vuoto, tranne quella del 1992 per Tangentopoli

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