Nella provincia di Palermo, per cui è stato decretato il provvedimento di massima restrizione fino al 22 aprile, molti centri sono costretti alla chiusura nonostante numeri vicini allo zero. Da Cefalù a Castelbuono, passando per Valledolmo e le Madonie
L’allarme dei Comuni quasi covid-free in zona rossa «Monta la fibrillazione sociale e nessuno lo capisce»
«In paese i carabinieri ti fermano se ti trovano per strada, ti chiedono dove stai andando, domanda a cui basta dare una spiegazione qualsiasi, tanto sono tutti aperti. Siamo solo cinque o sei a dovere restare chiusi, più i parrucchieri. Per carità, anche se rimanessimo aperti è chiaro che non guadagneremmo chissà cosa, la gente resta in casa, ha paura, ma almeno potremmo dare un segnale. Un segnale di ripresa». Parla così un commerciante di Valledolmo, costretto a tenere le saracinesche abbassate per via della zona rossa decretata per tutta la provincia di Palermo. Un provvedimento che in molti Comuni è vissuto male, non tanto in segno di ribellione nei confronti delle regole, ma perché il numero dei cittadini positivi al Covid-19, in quei paesi, è esiguo. Nel caso di Valledolmo, per fare un esempio, gli ultimi dati parlano di cinque infetti per una popolazione che si aggira attorno alle tremila anime. Una condizione simile a quella di buona parte dei Comuni delle Madonie.
Un problema che non riguarda solo i piccoli centri e l’esempio più lampante è Cefalù. «Noi abbiamo tre persone al momento positive – spiega a MeridioNews il sindaco del Comune Normanno, Rosario Lapunzina – Abbiamo inviato anche una nota al presidente Nello Musumeci per segnalare questo paradosso: abbiamo chiesto di fare un’ordinanza che sia mirata per quelle zone, per quei Comuni dove c’è una situazione di contagio attivo. Le aziende, ma anche i singoli cittadini, in questo momento non comprendono le misure restrittive. Misure che devono essere per forza legate alla questione epidemiologica del luogo».
«La gente non sottovaluta il problema del virus, nessuno vuole farlo – prosegue il primo cittadino – ma è stanca. Chiunque vuole fare sacrifici se c’è una situazione grave, ma nel nostro caso queste tre persone di cui parlo in settimana guariranno. E i tamponi vengono fatti, sia dai privati che dall’Usca. Come si giustifica una zona rossa in un Comune come Cefalù? La gente comincia a parlare di ribellione e io spingo per la calma, per il sentimento di unione contro un nemico invisibile. Ma ci vuole buonsenso anche da parte di chi ha potere. Termini imerese, Bagheria, le Madonie, a parte Lascari, che ha 12 positivi, in tutti questi posti i numeri sono bassissimi. Non tali da giustificare la zona rossa». Alle parole di Lapunzina fanno eco quelle del primo cittadino di un altro Comune madonita a basso tasso di positivi, Castelbuono, che a sua volta definisce la zona rossa, che avrà durata fino al 22 aprile, «Una cosa scorretta, che sta esasperando le persone».
«Quando un barbiere rimane chiuso cos’hanno ottenuto? – dice a MeridioNews il sindacoMario Cicero – La gente nelle grandi città è sempre in giro, a Palermo si muove senza problemi. Tutto questo porterà a un sollevamento sociale. Basta parlare con un agente di commercio per avere l’idea di quanto sia complicata la situazione delle imprese. Quando si è sentito di un caso di Covid che è partito da un ristorante? Il Covid è partito dalle cene clandestine, dai funerali, dalle funzioni religiose. Le chiese sono piene, le metropolitane sono piene, le file alle poste sono lunghissime e poi ce la prendiamo con i negozietti. La sensazione è che non si abbia il vero polso della situazione, della fibrillazione sociale che sta montando. Ho ascoltato i casi di ristoratori che chiudevano il bilancio annuale con incassi attorno al milione di euro e adesso hanno ricevuto 20mila euro di ristori. Insieme ai miei colleghi ne parliamo spesso in videoconferenza, chiederemo che su questo ci sia l’attenzione della Regione. Su questo e sul piano dei vaccini: perché si possono somministrare nella sagrestia di una chiesa ma un Comune non può organizzarsi per farli?»