La richiesta a cui si può dire di no è arrivata da Giuseppe Calvaruso, ritenuto capo del mandamento di Pagliarelli, a Giuseppe Amato, uno dei titolari del ristorante Carlo V, per un amico. La donna rimprovera di essere stata trattata in modo irrispettoso
La escort per «fare divertire» il detenuto appena scarcerato Lamentele dopo incontro: «Decido io pure se lo chiede Gesù»
«Giuseppe (Calvaruso, ndr) mi ha chiesto una cortesia, ci tiene tanto a questo ragazzo. Ora andiamo a casa mia e lo fai divertire un quarto d’ora». Giuseppe Amato è appena risalito in auto insieme a una escort 32enne venuta dal Nord che sta ospitando alcuni giorni a Palermo. È l’ora di pranzo del 26 settembre del 2017 quando la conversazione viene registrata a bordo della sua Range Rover che percorre via Ernesto Tricomi, nel quartiere Villaggio Santa Rosaria. La richiesta di un incontro a sfondo sessuale che l’uomo ritenuto capo del mandamento mafioso palermitano di Pagliarelli e arrestato nel corso dell’operazione Brevis al rientro dal Brasile, ha chiesto ad Amato è per «una persona cara che è mancata per un bel po’». Un 46enne, ritenuto affiliato alla stessa famiglia mafiosa, scarcerato da poco dopo avere scontato una lunga pena detentiva (più di sette anni e mezzo dal 2009 al 2016) che, poco prima, Calvaruso ha presentato come «il mio amico Andrea».
Un favore a cui non era possibile dire di no, anche in nome dello stretto legame tra Calvaruso e Amato, già emerso nell’operazione Cupola 2.0. I due si frequentano assiduamente sia a Palermo che a Riccione (in Emilia Romagna), dove risiedeva il boss manager dei due mondi. Un rapporto che non sarebbe stato paritario ma di «totale asservimento» di Amato che concede l’uso della sua auto a tempo indeterminato, provvede al pagamento di biglietti aerei e navali per lui e per i suoi familiari, gli mette a disposizione una carta di credito e lo ospita innumerevoli volte nel ristorante Carlo V gestito dalla propria famiglia. E, stando a quanto emerso da questa conversione, gli offre anche la disponibilità di una giovane escort, che Calvaruso aveva conosciuto l’anno prima, anche lei è già gravata da precedenti penali per droga e rapina e controllata più volte insieme a pregiudicati per mafia.
È alle 6 del mattino del 27 settembre, durante il viaggio in macchina verso l’aeroporto per prendere il volo che la riporterà al Nord, che la donna rimprovera Amato di averla trattata in modo irrispettoso in occasione dell’incontro con Andrea senza nemmeno interpellarla. Amato si giustifica dicendo di non avere potuto agire in altro modo perché l’appuntamento era stato richiesto direttamente da Calvaruso a cui non era possibile dire di no. «Al di là di questo, chiunque sia, tu mi dici: “Guarda, c’è questa persona. Ti va bene?”», lamenta la ragazza. «Ma lui meritava», controbatte lui. «Ma non c’entra merita o no, te può chiedere anche Gesù Cristo. Decido io!», conclude la ragazza alzando il tono di voce. La conversazione nell’abitacolo della Range Rover continua poi con Amato che accenna a una discussione avuta con un uomo sorpreso ad assumere cocaina nel bagno del suo ristorante di piazza Bologni. «Questo coglione apparteneva alla zona di Giuseppe (Calvaruso, quindi al contesto mafioso di corso Calatafimi al mandamento di Pagliarelli, ndr) ma era in crisi perché l’ho messo in difficoltà perché si sentiva in colpa, umiliato».
Per un appartenente a quel clan di Cosa nostra la dipendenza da sostanze stupefacenti è una cosa disdicevole perché Calvaruso è fermamente contrario. «Uno che è un boss non può tirare. Non le può fare queste cose», sottolinea Amato. La ragazza a questo punto, dopo avere sbuffato diverse volte ascoltando il racconto, redarguisce Amato per essersi sbilanciato a parlare di Calvaruso con quell’uomo descrivendolo come un uomo d’onore. «Tu parli troppo, Giuseppe può essere un boss come una povera anima. Al di là di questo – asserisce – tu oggi lo hai sputtanato». A questo comportamento, la donna contrappone invece un esempio di riservatezza che sarebbe da prendere come modello. «Tu sai chi era Cutolo?». È retorica la domanda sul noto camorrista che, nonostante i lunghi anni di carcere, ha sempre mantenuto il silenzio. «Non si è mai cantato a nessuno, tipo Totò Riina», sottolinea la ragazza che aggiunge anche di conoscere bene gli ambienti criminali per averne avuto esperienza diretta: «Io – conclude – sono cresciuta in mezzo a quella gente».