Tra oggi e domani, i Comuni della provincia dovranno decidere a chi affidare la gestione della distribuzione dell'acqua in tutta la provincia. Il ministero ha dato un ultimatum per adeguarsi alla normativa. «Altrimenti si rischia di perdere i fondi europei»
Acqua, 15 giorni per decidere sul servizio integrato In ballo interessi di Sidra e delle altre partecipate
I rubinetti, quelli da cui solitamente esce l’acqua, non dovrebbero risentirne. Al netto dei periodici disservizi che interessano a macchia di leopardo il territorio, la situazione nell’immediato dovrebbe restare quella che è e, in prospettiva, semmai, migliorare. Ciò che invece, da qui a breve, dovrebbe tendere a stringersi sono i rubinetti della politica che da anni, più o meno indirettamente, dà la propria impronta alla piccola galassia di società che gestiscono il servizio idrico nella provincia di Catania. Da quasi tre lustri, lo scenario dovrebbe essere diverso. A dirlo è il codice dell’ambiente: le utenze ricadenti nell’ambito territoriale ottimale, che appunto coincide con i 58 comuni della provincia, dovrebbero essere gestite da un unico soggetto. Potendo scegliere tra una società in house, una mista e una privata.
L’ultimatum del ministero
Su questo primo quesito, l’assemblea territoriale idrica etnea ha da tempo deciso per la gestione pubblica. Il compito però è stato svolto a metà, in quanto finora è mancata l’individuazione di chi dovrà farsi carico del servizio. L’eccessivo attendismo ha portato il ministero dell’Ambiente a dare un ultimatum ai Comuni: entro il 31 dicembre bisogna che il nodo venga sciolto. «Come più volte rammentato – si legge in una nota del settembre scorso, inviata dal dipartimento regionale Acque – il ministero pone come condizione imprescindibile che il sistema sia a regime e che sia stato affidato nel rispetto della normativa comunitaria e nazionale o, in ogni caso, che il servizio idrico integrato sarà a regime alla data dell’1 gennaio 2021». Un anno fa, in una nota simile si faceva riferimento al giorno di san Silvestro come al termine entro cui adottare «tutti gli atti propedeutici all’affidamento, con particolare riguardo al piano d’ambito». A tenere banco è anche un altro aspetto: «Si richiama la responsabilità di codesta Ati, dalla cui inerzia può derivare un danno grave e irreparabile non solo per l’ambito, ma per la Regione e per l’Italia tutta, correlato alla perdita dei finanziamenti 2021-2027». L’occasione per salvare tutto in corner, la si avrà già oggi: in programma c’è l’assemblea, anche se la riunione potrebbe svolgersi domani in seconda convocazione.
Lo scenario attuale
A portare l’acqua nelle case di chi vive in provincia di Catania sono circa venti società. Alcune sono private, magari con storie decennali alle spalle e forniture ristrette a poche centinaia di utenze, altre, le più note, in house. Ovvero partecipate al cento per cento dagli enti locali. Questo è il caso della Sidra a Catania, della Sogip ad Acireale, di Acoset, che serve quasi 92mila utenze distribuite tra una ventina di centri, e di Ama, che si occupa del servizio a Paternò. Ci sono anche Comuni che finora hanno gestito tutto in economia, affidando ai propri uffici la gestione di tutto ciò che concerne le fasi di approvvigionamento e distribuzione dell’acqua.
Cosa cambia e per chi cambia
Con il passaggio al servizio integrato, a mutare sarà innanzitutto la governance. Gli attuali consigli d’amministrazione delle singole partecipate verrebbero meno, per lasciare spazio alla nuova società in house. Di fatto, per chi vuole vederla in ottica strettamente politica, diminuiranno i posti da occupare. Inoltre, una forma pubblica di gestione porterà le piccole realtà private a cedere, in cambio di un indennizzo, le eventuali infrastrutture possedute. I Comuni che invece finora hanno operato in proprio dovranno iniziare a prendere confidenza con la nuova dimensione. La gestione in economia, infatti, non è prevista dalla normativa in vigore. La principale novità per gli utenti – quelli con regolare contratto e relativo contatore, considerato che la fetta di abusivismo è ancora tutt’altro che trascurabile – consiste nell’applicazione della tariffa unica. Ciò vorrà dire che ci saranno zone in cui il costo del servizio potrebbe aumentare e altre in cui diminuire, rispetto agli standard attuali.
L’ipotesi società consortile
Stando a quanto appreso da MeridioNews, un punto di equilibrio tra le diverse istanze emerse all’interno dell’Ati potrebbe essere trovato con la costituzione di una società consortile tra Sidra, Acoset, Ama e Sogip. Le quattro realtà dovrebbero ampliare il proprio raggio d’azione, dividendosi i centri che rimarrebbero scoperti, sotto un’unica governance. Questo dovrebbe essere un passaggio propedeutico per rispondere alle richieste del ministero e preparare in maniera più morbida il terreno alla futura società in house.
Il caso Sidra e la querelle unicità-unitarietà
Tra coloro che, se potessero farlo, sceglierebbero di mantenere la totale autonomia gestionale c’è senz’altro il Comune di Catania, che detiene la totalità delle quote di Sidra. Un tentativo, in tale direzione, è stato fatto dal vicesindaco Roberto Bonaccorsi, nei giorni in cui ancora Salvo Pogliese non era stato reintegrato nel ruolo di primo cittadino. Bonaccorsi ha inviato una nota all’Assemblea territoriale idrica – presieduta dal sindaco uscente di Tremestieri Santi Rando – proponendo di valorizzare «il concetto di unicità, reinterpretandolo attraverso il principio di unitarietà». Formula che garantirebbe a Sidra – la cui gestione negli ultimi tempi è stata contraddistinta anche da una sfilza di consulenze date a figure spesso vicino a Fratelli d’Italia – di mantenere un’autonomia maggiore. Il Comune di Catania si è detto favorevole alla società consortile, ma a una serie di condizioni, tra le quali «che i soci pubblici mantengano la propria personalità giuridica e la piena autonomia operativa».
Il peso del voto
Lo statuto dell’Assemblea territoriale idrica prevede che per l’adozione delle delibere serva il voto favorevole dei Comuni che rappresentino i due terzi delle quote di partecipazione all’ente e la maggioranza numerica dei soggetti. Le quote sono calcolate in maniera proporzionale agli abitanti. E in tal senso, il Comune di Catania ne detiene il 27,24 per cento. Conti alla mano, poco meno di quello che basterebbe a decidere per tutti.