Un atto d'amore e politico quello tra i fondatori di Arcigay, dopo 42 anni di vita insieme. «Chiediamo che Giorgio e Tony vengano seppelliti insieme - dicono gli sposi - per ridare dignità al loro amore e dire che la città è cambiata». Guarda il video e le foto
Il matrimonio «inutile e indispensabile» di Massimo e Gino Unione civile a Giarre nell’anniversario del delitto degli ziti
«Il nostro è un matrimonio inutile e indispensabile». Un atto d’amore e, nello stesso tempo, politico. Massimo Milani e Gino Campanella, i fondatori di Arcigay in Italia, si sono uniti civilmente, dopo 42 anni di vita insieme, ieri nella sala degli Specchi del palazzo comunale di Giarre. Per la cerimonia, che è stata celebrata dal sindaco Angelo D’Anna, gli sposi hanno scelto la data simbolo del 31 ottobre: il 40esimo anniversario del delitto di Giarre, che ha segnato la storia del Movimento Lgbt.
«Non si tratta soltanto di tenere accesa la memoria di un terribile atto di violenza – sottolinea Massimo Milani, che attualmente è presidente onorario di Arcigay – ma anche di rendere giustizia a Giorgio e Tony, oggi che un amore tra due persone dello stesso sesso è possibile e vivibile alla luce del sole, anche se non ovunque». È il 31 ottobre del 1980 quando il 25enne Giorgio Giammona e il 15enne Antonio Galatola vengono trovati morti, mano nella mano, sotto un pino in un campo isolato. Sulle loro fronti i fori dei proiettili. In un primo momento, l’episodio passa alla cronaca come un caso di suicidio fino a quando il 13enne Francesco Messina, nipote di Tony, confessa di averli uccisi salvo poi ritrattare e lasciare il delitto senza colpevoli.
Massimo e Gino si erano conosciuti due anni prima a Palermo, arrivati rispettivamente da Roma e Torino. All’indomani del delitto di Giarre, ci sono anche loro tra gli attivisti accorsi per le manifestazioni pubbliche di protesta. Nasce così il primo circolo di Arcigay in Italia. «Abbiamo deciso di unirci civilmente in questo luogo e in questa data per riscattare la memoria degli ziti (fidanzati, ndr) vittime della violenza delle loro stesse famiglie e della società», sottolineano i due che un primo matrimonio lo avevano già celebrato il 28 giugno del 1993 in piazza Pretoria a Palermo, durante la giornata internazionale dell’orgoglio Lgbt. Quello era stato, però, solo un matrimonio di protesta, un rito simbolico in un Paese che non aveva ancora aperto i registri delle unioni civili.
Vestito, giacca, cilindro, bastone e velo bianco di pizzo ricamato per Gino; abito lungo con lo strascico e cappello rosso per Massimo. Entrambi con mascherine rigorosamente abbinate. Così, davanti a trenta invitati, sulle note e i versi di Io che ho amato solo te di Sergio Endrigo, la loro unione è stata resa ufficiale e legale. «Un matrimonio inutile e indispensabile – ha detto Massimo – Inutile perché nulla ormai ci può separare dopo tanti anni vissuti insieme, neanche la morte, forse. E indispensabile perché siamo stati separati e isolati l’uno dall’altro per i due mesi durante i quali Gino lottava tra la vita e la morte». Una separazione forzata, durante il lockdown della scorsa primavera, dopo oltre quarant’anni di convivenza, per via di un ricovero di Gino in una struttura sanitaria palermitana per controlli medici e terapie.
Dopo la celebrazione Massimo e Gino sono andati al cimitero di Giarre per donare i bouquet a Giorgio e Toni «a cui è stato negato non solo il diritto di vivere ma anche quello di amare». Ora gli sposi hanno un ultimo desiderio: che Giarre «finalmente cerchi nel cimitero le tombe nascoste dei due giovani e li seppellisca insieme in ricordo del loro amore negato. Sarebbe – affermano – un gesto meraviglioso che ridarebbe non solo dignità all’amore puro di Giorgio e Toni ma anche – concludono – un segnale forte che la città è cambiata e condivide tutte le forme di amore».