Il gup di Catania ha condannato anche la moglie e la figlia dell'allora presidente del consiglio d'amministrazione della struttura a Sant'Agata Li Battiati. I due collaboratori coinvolti nell'inchiesta Giano bifronte sono stati rinviati a giudizio
Frode fondi pubblici, condanna a due anni per Labisi All’istituto Lucia Mangano debito di oltre 10 milioni
È stato condannato a due anni di reclusione per associazione a delinquere finalizzata all’appropriazione indebita nella gestione dell’istituto medico psicopedagogico Lucia Mangano di Sant’Agata Li Battiati l’allora presidente del consiglio d’amministrazione Corrado Labisi. Il gup di Catania Oscar Biondi, con la stessa accusa, ha condannato anche la moglie di Labisi Maria Gallo a otto mesi e la figlia Francesca a sei mesi.
Per l’accusa – che aveva chiesto la condanna a tre anni e quattro mesi per Labisi, a due anni e quattro mesi per la moglie e la figlia – Labisi avrebbe gestito i fondi erogati dalla Regione Siciliana e da altri enti per fini diversi dalle cure ai malati ospiti della struttura, distraendo somme in cassa e facendo lievitare le cifre riportate sugli estratti conti accesi per la gestione della clinica, tanto da raggiungere un debito di oltre 10 milioni di euro.
L’accusa aveva chiesto. Gli altri due imputati Gaetano Consiglio e Giuseppe Cardì, entrambi collaboratori di Labisi sono stati rinviati a giudizio. La prima udienza del processo con il rito ordinario è stata fissata per il 6 aprile del 2021 davanti la prima sezione penale del tribunale di Catania.
L’indagine della Direzione investigativa antimafia – denominata Giano bifronte – erano state coordinate dal procuratore Carmelo Zuccaro e dal sostituto Fabio Regolo. Secondo l’accusa, l’imprenditore «in qualità di capo e promotore, avrebbe distratto fondi dell’istituto». La moglie Maria e i due collaboratori si «mettevano a sua disposizione simulando il proprio rapporto di lavoro e con buste paghe nelle quali figuravano somme mai effettivamente percepite». Lo stesso avrebbe fatto anche la figlia Francesca che, inoltre, «violava i doveri derivanti dalla carica di consigliera». Questo, sostiene la Procura di Catania, avrebbe «permesso di giustificare le uscite indebite che rimanevano a disposizione di Labisi e non dell’istituto».