Tra i 15mila siciliani rientrati nell'Isola dopo il 14 marzo c'è anche Nicola Vaiarello, in quarantena a Partinico. «Ho visto strategia e una linea chiara d’azione - racconta -. Se questo modus operandi lo si ritroverà anche in tempi di pace, è un campanello di speranza»
Dal rientro a Londra all’isolamento, fino al tampone «La sanità qui? Precisa, puntuale e ben organizzata»
Sono state avviate, già dai primi di aprile, le procedure di tamponamento dei rientrati previste dall’ordinanza emanata il 20 marzo dal presidente della Regione Siciliana. In tanti, nell’attesa del test, si ritrovano a dover prolungare l’isolamento forzato. Tra le lamentele c’è però anche qualche esperienza positiva. Secondo il portale siciliacoronavirus.it sarebbero in 15mila ad essere tornati nell’isola dopo il 14 marzo. Lavoratori precari, turisti, docenti, impiegati fuori sede, studenti Erasmus. Parecchi siciliani, nel giro di pochi giorni, si sono ritrovati nel bel mezzo di una pandemia mondiale, lontani da casa e senza lavoro. I più hanno quindi pensato di fare le valigie e tornare nell’Isola. Nicola Vaiarello allo scoppiare dell’emergenza sanitaria si trovava in Inghilterra. Da tre mesi stava conducendo una ricerca sociolinguistica presso la British Library di Londra. Se non fosse scattato l’allarme sarebbe rimasto ancora un altro po’, fino ad aprile, invece il 15 marzo è salito su un Eurostar diretto a Parigi.
Adesso è a Partinico, nella sua casa di villeggiatura e prosegue la ricerca dalla sua scrivania. «Il mio programma è cambiato all’improvviso – spiega a MeridioNews – ho dovuto ricalibrare tutto in un’ottica domestica: qua ho il mio studio, la mia libreria, tutto il materiale che ho raccolto a Londra. L’idea era però quella di fare quattro mesi». Nicola ha deciso di lasciare l’Inghilterra nonostante l’apparente aria di normalità che continuava a caratterizzare la vita anglosassone. Basti solo pensare che mentre in quasi tutto il mondo, dall’Italia agli Stati Uniti, si sospendevano tour, si annullavano concerti e si vietavano assembramenti, in Gran Bretagna gli Stereophonics riempivano la Manchester Arena, un palazzetto da 21mila posti. «Mi trovavo su una timeline diversa rispetto a quella italiana – continua Nicola – la timeline italiana era una timeline all’avanguardia, più rigida ma soprattutto in anticipo, sono state prese delle misure che in Inghilterra sarebbero state prese dopo due settimane».
«La mia priorità era quella di tornare, trovare il modo». E dopo le tante difficoltà, tra voli cancellati e centralini irreperibili, informazioni errate e forza di volontà, l’idea di prendere un treno per Parigi e il rientro in Italia. A Roma il primo strano impatto. «La frontiera l’ho sentita molto quando sono arrivato a Fiumicino – spiega il ricercatore -, il metro di distanza segnato per terra, l’autocertificazione: mi sono detto “ma che cavolo sta succedendo qui?”». Poi l’aereo per Palermo, un taxi e l’auto-isolamento. «Arrivato a Punta Raisi – racconta Nicola – ho preso il taxi. Avevo deciso, ancor prima che attivassero la misura, di stare per due settimane in isolamento, una volta tornato. Sono andato nella mia seconda casa, quella di villeggiatura, proprio per evitare il contatto con genitori e parenti». Dal ritorno a Partinico Nicola non ha ancora incontrato nessuno dei suoi, né tanto meno fatto la spesa. Ha ridotto i pasti superflui ed ha persino smesso di fumare.
«Non sto disturbando altre persone – spiega – sto cercando di dare valore anche alla stessa alimentazione, riscoprendo la sobrietà: abbiamo davvero bisogno di mangiare così tanto?». E anche quando ordina qualcosa al fruttivendolo, dalle fragole alle fave, non c’è nessun contatto, «neanche visivo. Io lascio fuori i soldi in un barattolo e ci accordiamo». «Tutte queste misure le ho accettate e le ho condivise – continua -. Arrivato a Partinico, mi sono messo in auto isolamento fiduciario, ho chiamato il medico curante, la protezione civile di Partinico, mi sono registrato nella piattaforma attivata dalla Regione Siciliana, ho segnalato la mia presenza nel territorio». E qualche giorno prima dalla conclusione della quarantena ecco la chiamata per effettuare il tampone. «Sono stati molto cordiali e professionali – racconta -, è stata una cosa che mi ha piacevolmente sorpreso. Precisi, puntuali e ben organizzati. Sembrava di stare in Svizzera». È un’esperienza positiva quella vissuta dal ricercatore sociolinguista tornato da Londra a metà marzo, di una sanità siciliana che funziona e stupisce positivamente, a dispetto dei vecchi pregiudizi e stereotipi.
«C’era questo spiazzale antistante il comando della polizia municipale – prosegue -. Eravamo credo una decina per il turno delle undici e un quarto, io ero il secondo. Tutto pensato per scaglioni, nessuno è sceso dalla propria macchina, stavamo dentro con la mascherina, schierati uno accanto all’altro. Poi c’erano i medici che chiamavano l’appello – continua – tutti con mascherina e guanti, si sono accertati fossimo tutti presenti. In verità non è niente di eccezionale, semplicemente c’è stato qualcosa che ha funzionato. Dovrebbe essere la normalità però non me l’aspettavo. Perché alle volte, insomma, in Italia le cose funzionano un po’ alla carlona». Nicola al rientro da Londra si aspettava tutt’altro, «un atteggiamento un po’ passivo, siamo pur sempre un’isola, una periferia, dove ci sono problemi strutturali, ci sono Comuni che non hanno risorse, comunità che non si sono riprese dalla crisi dal 2008».
È bene allora dare a Cesare quel che è di Cesare: «Credo sia stato fatto un buon lavoro. Ho visto organizzazione, strategia, una linea chiara d’azione. Questo mi fa stare un po’ più tranquillo». Nicola accenna entusiasta anche alla piattaforma Sicilia Si Cura: «Ci ispiriamo alla Corea del Sud, sono modelli virtuosi. Se questo modus operandi lo si ritroverà anche in tempi di pace… è un campanello di speranza!». Nell’attesa del risultato, Nicola ha continuato il suo auto-isolamento tra cedri, agrumi e qualche interscambio di spagnolo su Skype. Fino all’esito definitivo del tampone: negativo.