A firmare la lettera, oltre a Salvatore Gristina e Antonino Raspanti, anche Calogero Peri, che guida la diocesi di Caltagirone. Invito anche a stare a casa. «Scopriremo che l’essere chiesa domestica ha un grande valore agli occhi del Signore», scrivono
Covid-19, chiese restano aperte a Catania e Acireale Vescovi: «Siate responsabili, sennò dovremo chiuderle»
«Lasciamo le chiese aperte, per entrarvi a pregare, per vivere il sacramento della riconciliazione, per scambiare una parola con il sacerdote, qualora ci troviamo a passare per i casi previsti dall’autocertificazione. Solo attenendoci scrupolosamente e responsabilmente a queste disposizioni, potremmo non essere costretti a chiuderle fisicamente». Il passaggio è contenuto in una lettera firmata dai vescovi delle diocesi di Catania, Acireale e Caltagirone e riguarda il dibattito nato all’interno della Chiesa sull’opportunità di lasciare le porte delle chiese aperte.
A prendere parola è stato anche il papa, dicendo che non sempre «le misure drastiche sono buone». Con un chiaro riferimento alla decisione della diocesi di Roma, poi rivista, di vietare gli ingressi fino al 3 aprile, attuale termine ultimo delle prescrizioni contenute nei decreti del governo italiano. «Tutti siamo d’accordo sulla responsabilità da esercitare – si legge nella lettera firmata da Salvatore Gristina, Antonino Raspanti e Calogero Peri – ma sul come esercitarla c’è disparità di posizioni. Siamo consapevoli che ogni scelta, in situazione di grave emergenza come l’attuale, apre a considerazioni persino
contrapposte».
L’intenzione però è quella di dare l’opportunità ai fedeli di continuare a pregare nei luoghi di culto. «Riaffermiamo la fiducia nell’onnipotenza di Dio e nella sua protezione, come anche il valore della comunione ecclesiale. Contemporaneamente – si legge nella lettera – comprendiamo che è ragionevole fidarsi dei risultati della scienza, la quale invita a non uscire se non per motivi strettamente necessari. Ci troviamo, pertanto, dinanzi a due possibilità estreme – vanno avanti i vescovi – o chiudere materialmente le porte delle chiese (ma non vorremmo arrivare a questo) o lasciarle aperte, seguendo comunque le
restrizioni che il governo impone. In un caso come nell’altro, ci viene richiesta una rinuncia dolorosa. Lasciamo le chiese aperte, confidiamo nella responsabilità di tutti, perché tutti tendiamo al bene di tutti».
Un passaggio anche sulla necessità di rimanere il più tempo possibile a casa. «Scopriremo che l’essere chiesa domestica ha un grande valore agli occhi del Signore. Ciò che vale e permane è solo l’amore che metteremo in ogni gesto, in ogni parola, perché sarà
questo a edificare la Chiesa».