L'inchiesta Showdown ha portato all'arresto dei tre gelesi Vincenzo Lauria, Calogero Lo Porto e Rosario Enea Romano. Altre quattro persone sono indagate. Il gruppo utilzzava un complesso marchingegno tecnologico capace di predire le giocate
Pina, il software che pilotava le mani di poker Vittime scelte per conto in banca e dipendenza
Truffati al tavolo del Texas Hold’em. La passione per il poker americano è stata fatale a Gela a una serie di facoltosi professionisti. La vicenda è finita al centro di un’indagine dei carabinieri del reparto territoriale che ha portato all’arresto di tre persone. Si tratta di Vincenzo Lauria, detto Massimo, di 47 anni; Calogero Lo Porto, detto Carlo, di 33 anni; e Rosario Enea Romano, di 37 anni.
Attraverso un sistema tecnologico ribattezzato Pina, venivano letteralmente pilotate le partite di poker. Un giro di soldi da migliaia di euro, adesso scoperto e bloccato dai militari. Nella stessa inchiesta, denominata Showdown, sono indagati in stato di libertà gli altri membri del sodalizio: Angelo Mangione, ennese di 44 anni; Antonino Cristaldi, ennese di 45 anni; Vito Cristaldi, ennese di 47 anni; e Michelangelo Bevilacqua, gelese di 42 anni
L’indagine è partita a settembre del 2018 dopo una serie di segnalazioni riguardanti l’esistenza di una bisca clandestina nel territorio di Gela, all’interno della quale venivano organizzate serate da gioco di poker. Nello specifico si giocava a Texas Hold’em con le regole del cash game, ovvero mediante puntate senza limiti massimi di importo. Tramite Pina, il gruppo era in grado di predire il vincitore delle singole mani di gioco, e pertanto utilizzato per pilotare le partite e truffare ignari giocatori.
L’immobile in cui erano organizzate le serate era gestito da Lo Porto e Romano. I due indagati si occupavano del reclutamento dei giocatori da coinvolgere nelle serate, utilizzando come criteri di selezione la disponibilità economica e lo stato di dipendenza dal gioco d’azzardo. Lauria, invece, secondo gli investigatori sarebbe stato il regista occulto dell’associazione, nonché proprietario dell’apparecchiatura tecnica. L’uomo prendeva parte alle giocate fingendosi un normale giocatore e, attraverso la complicità degli altri sodali, riusciva a pilotare l’esito delle singole mani di gioco.
Il marchingegno, all’apparenza un normale porta fiches, nasconde al proprio interno una telecamera a infrarossi, la quale, dopo aver decodificato il codice a barre impresso in maniera impercettibile sul dorso di ogni singola carta da gioco, calcola attraverso un complesso software a quale giocatore verrà data la combinazione vincente, trasmettendo poi l’informazione a una micro-auricolare e a un cellulare collegati con sistema bluetooth.
In questo modo Lauria individuava dapprima il giocatore vincente poi, toccando le fiches di colore rosso, segnale convenzionale deciso in precedenza, avvisava i propri complici allo scopo di pilotare il risultato delle singole mani di gioco. Dalle indagini è emerso che Lauria era solito introdurre e cedere dosi di cocaina all’interno della bisca, allo scopo di intrattenere più a lungo le vittime del raggiro, e, quindi, potergli spillare più denaro. Al termine della serata i profitti derivanti dalle vincite venivano divisi tra Lauria, Romano e Lo Porto, mentre al resto dei sodali veniva corrisposta una quota concordata in partenza.
«Sorprende la modalità di reclutamento – dichiara il colonnello Baldassare Daidione, comandante provinciale dei carabinieri di Caltanissetta – In un caso una vittima è stata ammessa a giocare, pur non avendo i soldi a seguito, perché il martedì avrebbe fatto un compromesso per la vendita di un appartamento. Un altro soggetto invece, un ristoratore, riceveva gli ideatori della truffa a cena che poi pagavano con le fiches costringendolo così a tornare a giocare». In altri casi si puntava direttamente alle dipendenze. «Diverse persone, ammesse al Sert, venivano cercato per indurle a farle giocare. Le giocate avvenivano con cadenza settimanale. Le vittime hanno perso anche da 250mila euro».