Negozi, centri scommesse e soprattutto gioiellerie. Poche le attività risparmiate dalla banda sgominata questa mattina, che vantava tra le sue fila anche ragazzini di 17 anni. «Una pericolosa associazione» che colpiva con «inarrestabile frequenza»
Flex, piede di porco e più di una rapina al mese Da u pacchiuni a u nico, giovanissimi in manette
«Nel mezzo e sopra…Tutti e due scaffali, prendili». Sono le 4.53 di una fredda notte di marzo e a confabulare a bassa voce al telefono sono due ladri alle prese con l’ennesima gioielleria del centro da ripulire. Bisogna fare presto, senza dare nell’occhio, per non mandare all’aria la lunga preparazione dei giorni precedenti e soprattutto per tornare a casa col bottino. Ma quei due al telefono sono quasi dei professionisti e ad agire insieme a loro c’è una piccola squadra dove ognuno ha il suo ruolo. La stessa squadra finita in manette questa mattina, «una pericolosa associazione di soggetti dediti alla commissione di furti aggravati, tutti realizzati con le medesime modalità nonché messi a segno con inarrestabile frequenza», dicono di loro gli inquirenti. Loro che, tra le fila della banda, istruiscono persino minorenni in erba da impratichire e abituare a quel mestiere. Ma anche tra quelli finiti in manette ci sono neodiciottenni. Il più anziano del gruppo ha solo 34 anni, gli altri si aggirano sui 20.
Tanti i colpi, e insieme a quelli anche le fasi preparatorie, che gli investigatori sono riusciti a documentare. Tra questi c’è quello di febbraio scorso, in una gioielleria in via Serradifalco. Il colpo ufficialmente avviene la notte del 26, ma la preparazione inizia settimane prima. Già la mattina dell’8 Angelo D’Anna, detto u pacchiuni, eu nico, il 17enne della banda, effettuano il primo sopralluogo, avventurandosi addirittura dentro alla gioielleria, fingendosi dei normali curiosi alla ricerca di un prezioso da acquistare. Pochi giorno dopo ecco un secondo sopralluogo, questa volta per osservare la gioielleria dall’esterno e capire con che tipo di serratura avrebbero dovuto fare i conti la notte del colpo. È il 26 febbraio quando ci ritornano, mezzanotte è passata da appena mezzora e la sagoma di uomo viene immortalata dalle telecamere di videosorveglianza: armeggia alla serratura della gioielleria mentre parla al telefono. A quell’ora anche Calogero Alaimo, per tutti però Paolo il fabbro, è al cellulare, mentre parla con la sua compagna aggancia la cella della zona. Un dato significativo che, unito alle immagini immortalate dalla videosorveglianza, lascerebbe pochi dubbi.
Alaimo, secondo quanto ricostruito dagli investigatori, sarebbe proprio il membro della banda addetto a forzare le serrature, mentre D’Anna sarebbe stato quello incaricato di organizzare gli altri momenti esecutivi. Sempre le telecamere lo immortalano mentre arriva in via Bernabei con una borsa a tracolla: si vede mentre la poggia sul marciapiede e tira fuori un flex per armeggiare con la serratura e spianare la strada ai colleghi che arriveranno lì tre ore dopo, ma il lavoro lo finisce con un piede di porco che s’è portato appresso. In pochi minuti ha fatto tutto e, una volta andato via, a dargli il cambio è D’Anna, che si accerta che il lavoro sia andato liscio e la porta sia pronta ad aprirsi. Sono le 3.49 quando gli altri del gruppo arrivano sul posto con una Fiat 500 e una Smart. Chi scende da quelle due auto ha con sé diversi arnesi, li userà di lì a breve per ripulire scaffali e vetrine da gioielli e orologi. Dopo l’attento lavoretto fatto tre ore prima, entrare è un gioco da ragazzi: bastano alcune rapide spallate alla porta per trovarsi di colpo dentro al negozio.
Non passa neanche un mese, che a marzo la squadra ci riprova. Nuovo obiettivo, nuovo piano, nuovo sopralluogo. Il primo lo fa sempre lui, D’Anna, che in altri colpi guida addirittura gli altri della banda attraverso conferenza telefonica, limitandosi a fare il palo e il regista del colpo. È il 14 marzo e le telecamere lo immortalano davanti all’ennesima gioielleria. Cinque giorni dopo al suo posto c’è la moglie, Barbara Lo Coco. La notte del 20 marzo è quella decisiva, la squadra mette a segno il colpo in via Leopardi. Il modus operandi è sempre lo stesso: sopralluoghi nei giorni precedenti davanti al negozio, fermi davanti alle vetrine, la manomissione della serratura e poi il momento decisivo in cui entrare e uscire in pochissimi minuti. «Erano solo orecchini?», chiedeva nei giorni precedenti D’Anna alla moglie. «Bracciali pure – rispondeva lei – e collane». Intascato il bottino, il giorno dopo si cerca già il prossimo negozio da ripulire. E di nuovo da capo, col solito modus risultato vincente. In certi casi ci si spinge oltre, tagliando addirittura il filo di alimentazione del faretto di un ponteggio montato all’esterno del condominio in cui si trova la gioielleria da svaligiare, per rendere completamente buia la zona.
Tutte precauzioni che, malgrado anche cappellini ben calcati sul capo e foulard avvolti attorno al viso, non salvano la banda dalle riprese delle telecamere della zona, che ancora una volta li immortala mentre si preparano a entrare. E in pochi minuti ecco andare a segno anche il colpo di aprile. Ci provano anche con un obiettivo d’eccezione, un’agenzia di scommesse in corso Calatafimi. Solo pochi giorni prima avevano scassinato l’ennesima gioielleria. È una banda inarrestabile, che agisce senza tregua. Non stupisce che la refurtiva recuperata dagli inquirenti ammonti a un valore di 35mila euro. Non tutti i colpi, però, gli riescono. In un caso «è venuto pure il padrone, buttana la miseria»: un allarme scattato all’interno di un negozio li ha colti di sorpresa, ma hanno comunque avuto il tempo di dileguarsi, continuando a progettare nuovi colpi. Almeno fino ad oggi.